E’ importante scandagliare attraverso le storie dei miti, per portare in superficie quella conoscenza che probabilmente prima dell’avvento della scrittura, veniva tramandata da bocca a orecchio e, sicuramente anche in questo caso, per mezzo di racconti, parabole e, appunto, poemi epici, dal contenuto allegorico.
Pertanto ciò che ci si deve prefìggere, è il tentativo di penetrare nel simbolo per poter raggiungere il suo “nucleo aureo”, se così lo vogliamo chiamare, nel quale è celata la sintesi universale contenuta nel suo spirito.
Questo seme di conoscenza che non è altro che la manifestazione del divino, presente in ogni cosa e quindi anche nelle forze e nelle leggi operanti nel mondo, sempre e comunque, è patrimonio dell’umanità e di conseguenza di ogni singolo individuo; a prescindere dal sesso, dalla razza o dal credo.
Gli dei sono i portatori di questo messaggio, essi sono presenti in tutte le tradizioni, magari con caratteristiche e nomi diversi, adatti alle varie culture, ma sempre messaggeri di un monito che invita l’uomo “mortale” a ricercare il trascendente.
Tuttavia, anche se nei miti gli dei assumono, a volte sembianze umane, a volte animali, i loro poteri o meglio la loro essenza spirituale, è cosa assai difficile da raggiungere per l’essere umano. Sembra pertanto, che questo baratro che divide l’immortale dal mortale, da ciò che è destinato ad invecchiare, sia insuperabile.
Comunque, nonostante ciò, come emerge dagli stessi poemi epici, noi siamo anche loro figli; ciò significa che sicuramente qualche loro caratteristica, l’abbiamo ereditata e probabilmente, proprio quella scintilla sacra che quindi non è al di fuori di noi, ma va ricercata nella nostra intimità.
Insomma, questi dei fanno parte del nostro patrimonio genetico e non ne sono assolutamente scevri.
Gli dei sono dentro di noi e non al di fuori.
Operare quindi, un lavoro di tipo analogico, ci può portare a scoprire l’universalità dei miti stessi e come questi siano, in realtà, la trasposizione in un certo senso fantastica, di ciò che l’uomo deve, invece, fare per la sua evoluzione spirituale.
Secondo il mito sumero, per esempio, dall’immenso oceano primordiale, si originò la Montagna Cosmica, dove ancora il cielo e la terra, erano indistinti e rappresentati da An (cielo) e Ki (terra).
Questi generarono Eniil il dio dell’aria, che determinò la separazione tra cielo e terra.
Secondo la tradizione occidentale del mito greco, all’inizio vi era il Caos, cioè il vuoto costituito da un immenso abisso oscuro, dove non c’era nulla o meglio, potremmo dire che esisteva una materia primordiale ancora indifferenziata.
Come nel caso analogo sumero, dove in questo oceano, come loro lo definiscono, cielo e terra non erano ancora separati, fino a quando non generarono Eniil, il dio dell’aria che separò e distinse, appunto, il cielo e la terra.
A questo punto, voglio fare un’osservazione che entra nella speculazione, di quanto poi, a poco, a poco, verrà approfondito in seguito; se l’aria separa cielo e terra, non possiamo, per ovvie ragioni, associare al cielo, come normalmente viene definito, l’elemento aria, altrimenti questa sarebbe già esistita e non avrebbe avuto bisogno di essere ulteriormente separata.
E’ probabile perciò, che il cielo rappresenti una condizione energetica della materia stessa, o terra, che per opera di una distillazione, ha generato una differenziazione, quindi una distinzione, come se lo spesso di un elemento, fosse stato separato per mezzo di una sua rarefazione, dal sottile. (Rarefazione- aria-Enlil = spirito delle cose?).
Per il momento ritorniamo ai nostri miti; da questo abisso oscuro, o vuoto, o oceano primordiale, come vogliamo chiamarlo, vengono fuori, Gea (La terra). Tartaro (L’inferno), poi la notte (Èrebo) e infine Eros.
E’ importante esaminare ad uno ad uno questi elementi, per poter seguire poi la genealogia che ne deriva.
Ogni cosa, dei e mortali, hanno preso vita dal Caos, al quale si attribuisce il significato di principio entro il quale tutto è in stato di confusione; ciò evidenzia, quindi, che il Caos, pur non essendo un dio, e tantomeno un mortale, possedeva in sé ciò che occorreva per creare e dare vita alle generazioni degli dei e dei mortali postume.
In esso è presente perciò, un principio creativo che deve essere attivato per poter, appunto, generare.
Tuttavia, non abbiamo dei particolari precisi, come questo sia accaduto all’inizio; come accennato, il mito narra che improvvisamente, da questa aggrovigliata “materia”, sorsero la Terra, Èrebo, la Notte, Tartaro.
Gea, quindi, è la terra che si manifesta come prima creazione distinta; è interessante notare come successivamente, emergono le prime divinità che hanno attinenza con l’oscurità e il buio più cupo.
Così Èrebo è il luogo più profondo degli Inferi, la Notte rappresenta l’oscurità primordiale (Figlia del Caos) e poi Tartaro, gli Inferi stessi, luogo dove furono imprigionati gli dei della prima generazione, sconfitti da Zeus.
Il nero e l’oscurità sono perciò, la prima manifestazione individuabile della creazione; dopo la comparsa della Terra, essi assumono le sembianze, in sostanza, di un utero entro il quale si sviluppa la vita. Il binomio terra-oscurità, quindi, contenitore e matrice insita nel contenitore, è uguale alla potenzialità per lo sviluppo della vita.
Occorre, però, un altro elemento a che le sinergie necessario alla nascita avvengano; qualcosa che inneschi i processi germinativi fra la terra e la sua intima matrice. Assistiamo, infatti, alla nascita del dio Eros; con lui iniziano le trasformazioni, quegli amalgami che danno avvio alla realtà delle cose, cioè le rende vive.
Come forza primordiale, il suo potere si estende non solo agli esseri umani, ma anche agli animali, ai vegetali, ai minerali e ai liquidi e fluidi; ha la capacità di fondere e unificare. E’ la scintilla di attrazione che fa congiungere le cose e le spinge a creare la vita… Essa genera i mondi.
Con la comparsa di Eros dalla terra, incominciano ad apparire dei che rappresentano la luce del giorno (Emera), il Ciclo (Urano) e l’aria azzurra che fascia la Terra (Etere); viene così, a crearsi un equilibrio tra quelle che potremmo definire, le forze negative, ma non in senso dispregiativo e le forze positive.
Luce e tenebre si contendono le sorti del mondo, dirigendone la creazione che vede apparire col sorgere del mare, dei monti e tutto ciò che è conforme alla natura, la configurazione delle sue caratteristiche.
Può sembrare un controsenso che la nascita di elementi essenziali per la vita, come il Cielo, il Mare o gli Oceani, siano deputati a Etere e a sua sorella Emera, rispettivamente l’Aria e la Luce, a loro volta generate dalla Notte, unitasi con suo fratello Èrebo, cui corrisponde, la parte più cupa e inaccessibile degli inferi.
Fondamentalmente, due forze della stessa polarità, hanno creato, così come pure Etere e Emera; tutto ciò può mettere in contraddizione, quanto accennato prima, riguardo le polarità di Luce e Tenebre, che essendo opposte ma complementari, per tradizione e per leggi naturali, hanno la possibilità di procreare.
Non dobbiamo, però, dimenticare la presenza di Eros, elemento presente in tutto ciò che vive; se pertanto in lui, è insito il seme che da la vita, non è escluso che questa spoletta, sia comunque inserita, sia nel negativo che nel positivo, a seconda della polarità che la riceve.
Pertanto, nell’oscurità, non è tutto nero e nella Luce non è tutto bianco. Questo concetto richiama palesemente lo Yin e lo Yang.
Va da sé, perciò, che anche dagli “Inferi”, è possibile estrarre la Luce, come la Luce, di conseguenza, se non è indirizzata per una giusta causa, può trasformarsi in tenebra. Proseguiamo ora con la narrazione del mito che ci dice che la Terra si unì con Urano (il Cielo) e da essi nacquero i dodici Titani, sei maschi e sei femminine e tré Ciclopi e tré Centimani.
Nel momento in cui la “terra si unisce con il proprio cielo”, incominciano a nascere “creature divine”; è l’inizio di quella fase di trasformazione, che anche se non appare visibilmente,è presieduta da Eros, colui che detiene la forza magnetica di attrazione germinativa.
Il mito prosegue con la rivalità fra padre e figlio, che sembra essere la cosa più antica del mondo: Crono, ultimo dei Titani maschi, generati da Urano e Terra, si ribellò al padre, insieme ai suoi fratelli e sorelle che dimoravano nei cieli, questo perché Urano voleva rilegarli nel Tartaro.
Dopo lo scontro che ne seguì, Crono ebbe la meglio e Urano, battuto e sanguinante per le ferite ricevute, fuggì, creando, però, ad ogni goccia del suo sangue che cadeva per terra, i Giganti e le Erinni.
Crono governò incontrastato, ma sospettando di tutti, rinchiuse i Titani nelle profondità della terra, perché come gli aveva predetto Urano, anche lui sarebbe stato detronizzato da un suo figlio; fu così che ogni nascituro, veniva da lui mangiato, fino a che, alla nascita di Zeus, ultimo erede. Rea lo nascose, ingannando il marito con una pietra che lui divorò. Zeus, poi, venuto a conoscenza dei misfatti del padre, aiutato da Gea la terra, fece ingoiare a Crono, un’erba particolare, che lo portò a vomitare tutti i suoi figli, che infine mossero, guidati da Zeus, alla conquista dell’Olimpo.
In questa parte del mito, si può osservare come dei cambiamenti sostanziali, siano da attribuire al più giovane di una generazione di figli; Crono, l’ultimo dei Titani, succede a Urano, Zeus, ultimo dei figli generati da Crono, detronizza suo padre. Questo ha una valenza importante, se vogliamo attribuire ai miti e a questo in particolare, il significato della rigenerazione umana, a livello individuale, intendendo con questa, l’emancipazione del proprio sé, attraverso l’utilizzo che Madre Natura ha messo a disposizione dell’uomo e della donna.
Sia Crono che Zeus, quindi, sono ambedue l’ultimo risultato di un processo di generazione; essi presentano, perciò, il modello perfetto ed elaborato, dopo tante ripetizioni di un certo atto. In questo caso, quello di mettere al mondo figli. Analogamente, è il tentativo alchemico di creare un “figlio sempre più perfetto”, al quale si può tendere elaborando via, via il Mercurio dei Filosofi, verso la sua migliore qualità.
Ecco, perciò, che alla fine di una catena di tentativi, viene a crearsi e manifestarsi con successo, il nuovo, il giovane, un’energia totalmente rinnovata che determina il salto qualitativo.
Tutto ha inizio dall’unione della Terra e del Cielo, come abbiamo già visto prima, o meglio dalla possibilità che l’uomo, inteso come umanità, ha di conquistare il proprio cielo interiore (testa), liberando dagli Inferi, i suoi stessi Titani e raffinando la sua genealogia.
E’ opportuno notare, ciò che Urano compie alla nascita di ogni suo figlio; li nasconde nelle viscere della sua sposa la Terra (Gea).
Questa terra che noi dobbiamo interpretare come la nostra propria terra, riceve nuovamente ciò che essa stessa ha creato, cioè il frutto del seme generativo; ma per far sì che da questo frutto si liberi e si emancipi, essa ha bisogno di produrre il ferro, sostanza che essendo magnetica, può essere attirata.
Contenuta infatti nel sangue, come agente che modifica la sostanza inerte, fa sì che il sangue stesso si rigeneri e assuma una qualità a una più alta frequenza vibratoria.
Ecco perché Urano, perdendo il suo sangue, dopo essere stato castrato dal figlio Crono, con la falce di ferro fornita da Gea stessa, genera nuove creature divine, così da lasciare un ricordo di sé che deve a sua volta, essere amplificato; nulla, infatti, si perde definitivamente, perché la memoria che è esperienza accumulata, si ripropone sempre. E sempre da questa si può attingere e possono attingervi le nuove generazioni.
Dal sacrificio di Urano che perde la sua virilità, caduta in mare, nasce Afrodite; rammentando che Urano rappresenta il cielo, dovremmo considerare che ciò che è contenuto nel ciclo, viene ricondotto e rimescolato con le acque (fluidi).
Da questo incontro, come il mito narra, si produce una schiuma, che volendola associare al mercurio, ha il potere di creare l’energia più grande e più potente che esista: l’Amore al quale viene data l’immagine di Afrodite, la Venere dei romani.
Tuttavia, l’utilizzo delle potenzialità di tale energia, sono a discrezione di chi la gestisce; infatti, la dea Afrodite ha peculiarità diverse. Essa protegge i matrimoni, favorisce l’intesa amorosa, rende feconde le unioni e fertili i campi, quindi si manifesta nell’accezione più armonica e elevata di ciò che essa rappresenta; ma altresì, essa è anche la temibile fascinatrice, colei che alimenta la passione smisurata dei sensi, che incita all’adulterio ecc.
In quest’ultimo contesto entra, perciò, in gioco, solo ciò che per l’uomo o la donna rappresenta l’istinto prettamente animale e favorisce l’utilizzo dell’energia- amore, solo per scopi di basso piacere sessuale.
Analogamente a quanto accade fra Urano e Gea, la stessa situazione si presenta con Rea e Crono.
Nel loro mito, cui ho accennato antecedentemente, è Crono che mangia il prodotto della sua virilità; questo tuttavia, non cambia la valenza di quest’atto, in quanto Rea non va vista disgiunta da Crono stesso, ma assume il significato, simbolicamente parlando, della terra che è stata fertilizzata e che dopo molte ripetizioni, ha generato in sé il campione della rigenerazione che ravvisiamo in Zeus.
Non è un caso, infatti, che sottratto alla voracità infanticida di Crono, egli sia stato generato, invece, in una caverna a Creta. Le caverne erano considerai luoghi sacri, dove si nascondevano le divinità e qui si facevano nascere eroi e dei stessi; l’analogia con la nascita del Bambino Gesù nella grotta di Betlemme è evidente. La caverna o grotta assume, quindi, il significato di ricettacolo del sacro, luogo dove si manifesta lo Spirito Santo, simbolo del più alto Sacerdozio che l’uomo può tenere e custodire nella Grotta del Cuore.
Così Zeus, cresciuto in segreto, si trasforma nel nuovo messaggero, nel nuovo Mercurio, che vuoi riportare ordine nel caos per ristabilire la “giustizia” e riscattare i suoi fratelli prigionieri nel ventre del loro padre Crono; non dobbiamo dimenticare che i figli di Crono, sono comunque dei, rappresentano perciò, un’elite di personaggi che proprio per la loro condizione, posseggono il potere di creare, questo perché nella parola Dio, è contenuto il simbolo dello YOD che come più volte è stato ribadito, rappresenta il numero 10, l’equilibrio perfetto delle due energie.
Esso, analogamente accostato al Mercurio, per essere operativo nella sua potenzialità e al contempo, elevato al massimo grado di perfezione, deve essere estratto dai suoi inferi, dove è prigioniero e trasportato verso l’alto… Verso la conquista dell’Olimpo per poter dominare “su tutta la terra e su tutto il ciclo” della propria umanità.
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