I significati archetipali delle forme geometriche

Il punto è il principio di tutto, l’initium, contiene in sé tutto. Simbolicamente era rappresentato da un cerchio con un punto nel centro, che comprende l’unità, collegata col nulla.

La linea è una unità moltipllcata per se stessa. E’ femminile-lunare perché contiene tutta la potenza della manifestazione lineare, superficiale,spaziale.

Il triangolo è l’unità dell’essere e trinità nella manifestazione. IlTriangolo Sacro, il Ternario; figura armonica, sacra. Simbolo di Virtù e Perfezione. Col vertice in alto rappresenta la divinità, in basso, l’umanità. Spirito-Anima-Corpo;Sole-Luna- Mercurio.
In Loggia sono le tré grandi luci della Massoneria: Squadra-Compasso-Libro delle Leggi.

Il quadrato, primo solido vivente in sé, è simbolo dell’uomo perfetto veicolo ed espressione.
In Massoneria è la Pietra Levigata, i quattro elementi, gli elementi equilibrati, la realizzazione in atto. Marte vi influisce con la sua Forza ed Intelligenza.

Il pentagramma rappresenta la luce spirituale, mentre con il vertice in basso è il simbolo di forze demoniache e caduta dell’uomo. E’ la Quintessenza; inizio del rito alla cerimonia sacra.
E’ il simbolo del compagno e della Gnosi stessa.

L’esagramma riunisce i principi opposti magici.
L’equilibrio tra il Cielo e la Terra: Natura umana e divina, unione ed equilibrio delle due nature dell’uomo e simboleggia i quattro elementi.

La pietra cubica a punta rappresenta la materia dominata dallo spirito, il trionfatore, la materia raggiunta la perfezione nel quaternario, l’eroe e la vittoria dell’uomo.

L’ottagono ha carattere di mediazione tra il quadrato e il cerchio, tra la terra e il cielo. Evoca il doppio quaternario, uno attivo ed uno passivo e riassume l’equilibrio costruttivo delle forme, dei temperamenti e delle energie cosmiche. E’ il simbolo della Resurrezione, del Battesimo, dell’unione dell’infinito DIO, con il finito l’uomo.

L’enneagramma è la figura tre volte trina; i Tré Regni. L’iniziato avvolto interamente nel mantello dell’iniziazione che segue la Tradizione e la Sacra Esperienza penetrerà nel mistero e fisserà il Cielo. Figura di perfezione che contiene in sé tutte le possibilità.

 

Il Mito: La nascita degli Dei

E’ importante scandagliare attraverso le storie dei miti, per portare in superficie quella conoscenza che probabilmente prima dell’avvento della scrittura, veniva tramandata da bocca a orecchio e, sicuramente anche in questo caso, per mezzo di racconti, parabole e, appunto, poemi epici, dal contenuto allegorico.

Pertanto ciò che ci si deve prefìggere, è il tentativo di penetrare nel simbolo per poter raggiungere il suo “nucleo aureo”, se così lo vogliamo chiamare, nel quale è celata la sintesi universale contenuta nel suo spirito.

Questo seme di conoscenza che non è altro che la manifestazione del divino, presente in ogni cosa e quindi anche nelle forze e nelle leggi operanti nel mondo, sempre e comunque, è patrimonio dell’umanità e di conseguenza di ogni singolo individuo; a prescindere dal sesso, dalla razza o dal credo.

Gli dei sono i portatori di questo messaggio, essi sono presenti in tutte le tradizioni, magari con caratteristiche e  nomi diversi, adatti alle varie culture, ma sempre messaggeri di un monito che invita l’uomo “mortale” a ricercare il trascendente.

Tuttavia, anche se nei miti gli dei assumono, a volte sembianze umane, a volte animali, i loro poteri o meglio la loro essenza spirituale, è cosa assai difficile da raggiungere per l’essere umano. Sembra pertanto, che questo baratro che divide l’immortale dal mortale, da ciò che è destinato ad invecchiare, sia insuperabile.

Comunque, nonostante ciò, come emerge dagli stessi poemi epici, noi siamo anche loro figli; ciò significa che sicuramente qualche loro caratteristica, l’abbiamo ereditata e probabilmente, proprio quella scintilla sacra che quindi non è al di fuori di noi, ma va ricercata nella nostra intimità.

Insomma, questi dei fanno parte del nostro patrimonio genetico e non ne sono assolutamente scevri.

Gli dei sono dentro di noi e non al di fuori.

Operare quindi, un lavoro di tipo analogico, ci può portare a scoprire l’universalità dei miti stessi e come questi siano, in realtà, la trasposizione in un certo senso fantastica, di ciò che l’uomo deve, invece, fare per la sua evoluzione spirituale.

Secondo il mito sumero, per esempio, dall’immenso oceano primordiale, si originò la Montagna Cosmica, dove ancora il cielo e la terra, erano indistinti e rappresentati da An (cielo) e Ki (terra).
Questi generarono Eniil il dio dell’aria, che determinò la separazione tra cielo e terra.

Secondo la tradizione occidentale del mito greco, all’inizio vi era il Caos, cioè il vuoto costituito da un immenso abisso oscuro, dove non c’era nulla o meglio, potremmo dire che esisteva una materia primordiale ancora indifferenziata.

Come nel caso analogo sumero, dove in questo oceano, come loro lo definiscono, cielo e terra non erano ancora separati, fino a quando non generarono Eniil, il dio dell’aria che separò e distinse, appunto, il cielo e la terra.

A questo punto, voglio fare un’osservazione che entra nella speculazione, di quanto poi, a poco, a poco, verrà approfondito in seguito; se l’aria separa cielo e terra, non possiamo, per ovvie ragioni, associare al cielo, come normalmente viene definito, l’elemento aria, altrimenti questa sarebbe già esistita e non avrebbe avuto  bisogno di essere ulteriormente separata.

E’ probabile perciò, che il cielo rappresenti una condizione energetica della materia stessa, o terra, che per opera di una distillazione, ha generato una differenziazione, quindi una distinzione, come se lo spesso di un elemento, fosse stato separato per mezzo di una sua rarefazione, dal sottile. (Rarefazione- aria-Enlil = spirito delle cose?).

Per il momento ritorniamo ai nostri miti; da questo abisso oscuro, o vuoto, o oceano primordiale, come vogliamo chiamarlo, vengono fuori, Gea (La terra). Tartaro (L’inferno), poi la notte (Èrebo) e infine Eros.
E’ importante esaminare ad uno ad uno questi elementi, per poter seguire poi la genealogia che ne deriva.

Ogni cosa, dei e mortali, hanno preso vita dal Caos, al quale si attribuisce il significato di principio entro il quale tutto è in stato di confusione; ciò evidenzia, quindi, che il Caos, pur non essendo un dio, e tantomeno un mortale, possedeva in sé ciò che occorreva per creare e dare vita alle generazioni degli dei e dei mortali postume.

In esso è presente perciò, un principio creativo che deve essere attivato per poter, appunto, generare.

Tuttavia, non abbiamo dei particolari precisi, come questo sia accaduto all’inizio; come accennato, il mito narra che improvvisamente, da questa aggrovigliata “materia”, sorsero la Terra, Èrebo, la Notte, Tartaro.

Gea, quindi, è la terra che si manifesta come prima creazione distinta; è interessante notare come successivamente, emergono le prime divinità che hanno attinenza con l’oscurità e il buio più cupo.
Così Èrebo è il luogo più profondo degli Inferi, la Notte rappresenta l’oscurità primordiale (Figlia del Caos) e poi Tartaro, gli Inferi stessi, luogo dove furono imprigionati gli dei della prima generazione, sconfitti da Zeus.

Il nero e l’oscurità sono perciò, la prima manifestazione individuabile della creazione; dopo la comparsa della Terra, essi assumono le sembianze, in sostanza, di un utero entro il quale si sviluppa la vita. Il binomio terra-oscurità, quindi, contenitore e matrice insita nel contenitore, è uguale alla potenzialità per lo sviluppo della vita.

Occorre, però, un altro elemento a che le sinergie necessario alla nascita avvengano; qualcosa che inneschi i processi germinativi fra la terra e la sua intima matrice. Assistiamo, infatti, alla nascita del dio Eros; con lui iniziano le trasformazioni, quegli amalgami che danno avvio alla realtà delle cose, cioè le rende vive.

Come forza primordiale, il suo potere si estende non solo agli esseri umani, ma anche agli animali, ai vegetali, ai minerali e ai liquidi e fluidi; ha la capacità di fondere e unificare. E’ la scintilla di attrazione che fa congiungere le cose e le spinge a creare la vita… Essa genera i mondi.

Con la comparsa di Eros dalla terra, incominciano ad apparire dei che rappresentano la luce del giorno (Emera), il Ciclo (Urano) e l’aria azzurra che fascia la Terra (Etere); viene così, a crearsi un equilibrio tra quelle che potremmo definire, le forze negative, ma non in senso dispregiativo e le forze positive.

Luce e tenebre si contendono le sorti del mondo, dirigendone la creazione che vede apparire col sorgere del mare, dei monti e tutto ciò che è conforme alla natura, la configurazione delle sue caratteristiche.

Può sembrare un controsenso che la nascita di elementi essenziali per la vita, come il Cielo, il Mare o gli Oceani, siano deputati a Etere e a sua sorella Emera, rispettivamente l’Aria e la Luce, a loro volta generate dalla Notte, unitasi con suo fratello Èrebo, cui corrisponde, la parte più cupa e inaccessibile degli inferi.

Fondamentalmente, due forze della stessa polarità, hanno creato, così come pure Etere e Emera; tutto ciò può mettere in contraddizione, quanto accennato prima, riguardo le polarità di Luce e Tenebre, che essendo opposte ma complementari, per tradizione e per leggi naturali, hanno la possibilità di procreare.

Non dobbiamo, però, dimenticare la presenza di Eros, elemento presente in tutto ciò che vive; se pertanto in lui, è insito il seme che da la vita, non è escluso che questa spoletta, sia comunque inserita, sia nel negativo che nel positivo, a seconda della polarità che la riceve.

Pertanto, nell’oscurità, non è tutto nero e nella Luce non è tutto bianco. Questo concetto richiama palesemente lo Yin e lo Yang.

Va da sé, perciò, che anche dagli “Inferi”, è possibile estrarre la Luce, come la Luce, di conseguenza, se non è indirizzata per una giusta causa, può trasformarsi in tenebra. Proseguiamo ora con la narrazione del mito che ci dice che la Terra si unì con Urano (il Cielo) e da essi nacquero i dodici Titani, sei maschi e sei femminine e tré Ciclopi e tré Centimani.

Nel momento in cui la “terra si unisce con il proprio cielo”, incominciano a nascere “creature divine”; è l’inizio di quella fase di trasformazione, che anche se non appare visibilmente,è presieduta da Eros, colui che detiene la forza magnetica di attrazione germinativa.

Il mito prosegue con la rivalità fra padre e figlio, che sembra essere la cosa più antica del mondo: Crono, ultimo dei Titani maschi, generati da Urano e Terra, si ribellò al padre, insieme ai suoi fratelli e sorelle che dimoravano nei cieli, questo perché Urano voleva rilegarli nel Tartaro.

Dopo lo scontro che ne seguì, Crono ebbe la meglio e Urano, battuto e sanguinante per le ferite ricevute, fuggì, creando, però, ad ogni goccia del suo sangue che cadeva per terra, i Giganti e le Erinni.

Crono governò incontrastato, ma sospettando di tutti, rinchiuse i Titani nelle profondità della terra, perché come gli aveva predetto Urano, anche lui sarebbe stato detronizzato da un suo figlio; fu così che ogni nascituro, veniva da lui mangiato, fino a che, alla nascita di Zeus, ultimo erede. Rea lo nascose, ingannando il marito con una pietra che lui divorò. Zeus, poi, venuto a conoscenza dei misfatti del padre, aiutato da Gea la terra, fece ingoiare a Crono, un’erba particolare, che lo portò a vomitare tutti i suoi figli, che infine mossero, guidati da Zeus, alla conquista dell’Olimpo.

In questa parte del mito, si può osservare come dei cambiamenti sostanziali, siano da attribuire al più giovane di una generazione di figli; Crono, l’ultimo dei Titani, succede a Urano, Zeus, ultimo dei figli generati da Crono, detronizza suo padre. Questo ha una valenza importante, se vogliamo attribuire ai miti e a questo in particolare, il significato della rigenerazione umana, a livello individuale, intendendo con questa, l’emancipazione del proprio sé, attraverso l’utilizzo che Madre Natura ha messo a disposizione dell’uomo e della donna.

Sia Crono che Zeus, quindi, sono ambedue l’ultimo risultato di un processo di generazione; essi presentano, perciò, il modello perfetto ed elaborato, dopo tante ripetizioni di un certo atto. In questo caso, quello di mettere al mondo figli. Analogamente, è il tentativo alchemico di creare un “figlio sempre più perfetto”, al quale si può tendere elaborando via, via il Mercurio dei Filosofi, verso la sua migliore qualità.

Ecco, perciò, che alla fine di una catena di tentativi, viene a crearsi e manifestarsi con successo, il nuovo, il giovane, un’energia totalmente rinnovata che determina il salto qualitativo.

Tutto ha inizio dall’unione della Terra e del Cielo, come abbiamo già visto prima, o meglio dalla possibilità che l’uomo, inteso come umanità, ha di conquistare il proprio cielo interiore (testa), liberando dagli Inferi, i suoi stessi Titani e raffinando la sua genealogia.

E’ opportuno notare, ciò che Urano compie alla nascita di ogni suo figlio; li nasconde nelle viscere della sua sposa la Terra (Gea).

Questa terra che noi dobbiamo interpretare come la nostra propria terra, riceve nuovamente ciò che essa stessa ha creato, cioè il frutto del seme generativo; ma per far sì che da questo frutto si liberi e si emancipi, essa ha bisogno di produrre il ferro, sostanza che essendo magnetica, può essere attirata.

Contenuta infatti nel sangue, come agente che modifica la sostanza inerte, fa sì che il sangue stesso si rigeneri e assuma una qualità a una più alta frequenza vibratoria.

Ecco perché Urano, perdendo il suo sangue, dopo essere stato castrato dal figlio  Crono, con la falce di ferro fornita da Gea stessa, genera nuove creature divine, così da lasciare un ricordo di sé che deve a sua volta, essere amplificato; nulla, infatti, si perde definitivamente, perché la memoria che è esperienza accumulata, si ripropone sempre. E sempre da questa si può attingere e possono attingervi le nuove generazioni.

Dal sacrificio di Urano che perde la sua virilità, caduta in mare, nasce Afrodite; rammentando che Urano rappresenta il cielo, dovremmo considerare che ciò che è contenuto nel ciclo, viene ricondotto e rimescolato con le acque (fluidi).

Da questo incontro, come il mito narra, si produce una schiuma, che volendola associare al mercurio, ha il potere di creare l’energia più grande e più potente che esista: l’Amore al quale viene data l’immagine di Afrodite, la Venere dei romani.

Tuttavia, l’utilizzo delle potenzialità di tale energia, sono a discrezione di chi la gestisce; infatti, la dea Afrodite ha peculiarità diverse. Essa protegge i matrimoni, favorisce l’intesa amorosa, rende feconde le unioni e fertili i campi, quindi si manifesta nell’accezione più armonica e elevata di ciò che essa rappresenta; ma altresì, essa è anche la temibile fascinatrice, colei che alimenta la passione smisurata dei sensi, che incita all’adulterio ecc.

In quest’ultimo contesto entra, perciò, in gioco, solo ciò che per l’uomo o la donna rappresenta l’istinto prettamente animale e favorisce l’utilizzo dell’energia- amore, solo per scopi di basso piacere sessuale.
Analogamente a quanto accade fra Urano e Gea, la stessa situazione si presenta con Rea e Crono.

Nel loro mito, cui ho accennato antecedentemente, è Crono che mangia il prodotto della sua virilità; questo tuttavia, non cambia la valenza di quest’atto, in quanto Rea non va vista disgiunta da Crono stesso, ma assume il significato, simbolicamente parlando, della terra che è stata fertilizzata e che dopo molte ripetizioni, ha generato in sé il campione della rigenerazione che ravvisiamo in Zeus.

Non è un caso, infatti, che sottratto alla voracità infanticida di Crono, egli sia stato generato, invece, in una caverna a Creta. Le caverne erano considerai luoghi sacri, dove si nascondevano le divinità e qui si facevano nascere eroi e dei stessi; l’analogia con la nascita del Bambino Gesù nella grotta di Betlemme è evidente. La caverna o grotta assume, quindi, il significato di ricettacolo del sacro, luogo dove si manifesta lo Spirito Santo, simbolo del più alto Sacerdozio che l’uomo può tenere e custodire nella Grotta del Cuore.

Così Zeus, cresciuto in segreto, si trasforma nel nuovo messaggero, nel nuovo Mercurio, che vuoi riportare ordine nel caos per ristabilire la “giustizia” e riscattare i suoi fratelli prigionieri nel ventre del loro padre Crono; non dobbiamo dimenticare che i figli di Crono, sono comunque dei, rappresentano perciò, un’elite di personaggi che proprio per la loro condizione, posseggono il potere di creare, questo perché nella parola Dio, è contenuto il simbolo dello YOD che come più volte è stato ribadito, rappresenta il numero 10, l’equilibrio perfetto delle due energie.

Esso, analogamente accostato al Mercurio, per essere operativo nella sua potenzialità e al contempo, elevato al massimo grado di perfezione, deve essere estratto dai suoi inferi, dove è prigioniero e trasportato verso l’alto… Verso la conquista dell’Olimpo per poter dominare “su tutta la terra e su tutto il ciclo” della propria umanità.

Massimo

Il Mito: il Diluvio Universale

II Diluvio universale (o anche semplicemente il Diluvio) è una storia mitologica di una grande inondazione mandata da una o più divinità per distruggere la civiltà come atto di punizione divina.

E un tema ricorrente in molte varie culture.

Il Mito Greco

Deucalione e Pirra

Deucalione e Pirra, rispettivamente figli di Prometeo e Epimeteo, erano due anziani coniugi senza figli.

Gli dei permisero loro di salvarsi dal diluvio che si sarebbe abbattuto sulla terra in modo che facessero rinascere l’umanità.

Due autori romani hanno raccontato la storia di questo mito greco: Ovidio nelle Metamorfosi e Igino Astronomo nelle Fabuiae.

Si racconta che Deucalione e Pirra ebbero, come premio per la loro virtù, diritto ad un desiderio o ad un oracolo a Temi.

Essi chiesero di avere con loro altre persone. Zeus, o l’oracolo consiglia allora ai due superstiti di gettare pietre oppure “le ossa della loro madre” dietro la loro schiena.

Essi comprendono che si tratta della Terra perché sono figli di Titani.

Queste non appena toccano terra si mutano in persone, in uomini quelle scagliate da Deucalione, in donne quelle scagliate da Pirra. Questa è l’origine della parola laos (“popolo”), poiché in greco Laas significa pietra.

II mito è spesso collocato nell’Epiro, sull’Etna o in Tessaglia.

Mito Babilonese

L’epopea babilonese di Gilgamesh racconta le avventure di Utanapishtim, originario di Shuruppak, che Gilgamesh incontra mentre cerca l’immortalità.

Ellil (equivalente di Eniil), signore degli dei, vuole distruggere l’umanità con un diluvio, esortato dalla dea Ishtar, offesa del rifiuto di fidanzamento.

Non è la prima volta che l’umanità viene distrutta infatti lo fu anche altre 4 volte: peste, siccità e carestia.

Il dio Ea (equivalente di Enki) consiglia ad Uta-Napishtim di distruggere la sua casa di canne e di utilizzarne il materiale per costruire un’arca, che deve caricare con oro, argento, e la semenza di tutte le creature viventi e anche di tutti i suoi artigiani.

Uta-Napishtim costuisce l’arca dopo aver distrutto la sua casa

Dopo una tempesta durata sette giorni ed altri dodici giorni passati alla deriva sulle acque, l’imbarcazione si arena sul monte Nizir.

Dopo altri sette giorni Uta-Napishtim manda fuori una colomba, che ritoma, poi una rondine, che toma indietro anch’essa. Il corvo, alla fine, non ritoma. Allora Uta-Napishtim fa sacrifici agli dei a gruppi di 7.

Quelli sentono il prorumo delle carni arrostite e affluiscono “come le mosche”.

Ellil è infuriato che gli umani siano sopravvissuti, ma Ea lo rimprovera: “Come hai potuto mandare un diluvio in questo modo, senza riflettere? Lascia che il peccato riposi sul peccatore, e il misfatto sul malfattore. Fermati, non lasciare che accada ed abbi pietà [che gli uomini non periscano]”.

Uta-Napishtim e sua moglie ricevono allora il dono dell’immortalità, e se ne vanno ad abitare “lontano, alla foce dei fiumi”.

Mito Ebraico-Cristiano Islamico

Il protagonista del racconto biblico, che occupa il settimo e l’ottavo capitolo della Genesi, è Noè.

Incaricato da Dio di costruire un’arca per raccogliere tutti gli animali terrestri, all’inizio della catastrofe si rifugia all’interno dell’imbarcazione con la moglie, i figli e le loro mogli.

Per quaranta giorni e quaranta notti la tempesta ricopre la superficie terrestre, fino alle montagne più alte; dopo ottanta giorni Dio fa cessare vento e pioggia e le acque cominciano a ritirarsi.

L’Arca di Noè

L’arca – sempre secondo il racconto biblico – si arena sul monte Ararat: Noè decide quindi di lasciare andare un corvo per capire se le acque si sono abbassate completamente.

L’uccello però non fa più ritorno, e decide di impiegare una colomba.

La prima volta torna indietro perché non trova una superficie dove posarsi; al secondo tentativo fa ritorno portando un ramo d’ulivo in bocca, a significare che la terra è nuovamente visibile; la terza volta la colomba non toma, e Dio ordina a Noè di scendere dall’arca mentre nel cielo appare uno sfolgorante arcobaleno, segno della nuova alleanza tra Dio e gli uomini.

Secondo l’esegesi della Religione ebraica con il diluvio ebbe termine la discendenza di Caino.

Inoltre nell’era messianica gli appartenenti alla generazione punita con il diluvio non resusciteranno.

Per l’Isiam al diluvio sopravvissero Noè e i suoi figli tranne uno con la moglie che si rifiutò di salire sull’arca. L’Arca coranica si posò sul monte Judi in Iraq.

Il Mito Indiano

Il mito del diluvio è presente nel Satapatha Brahmal a ( I, 8, 1).

Manu incontra un pesce mitico nell’acqua che gli era stata portata per lavarsi.

Esso gli promette di salvarlo se egli, a sua volta, lo salverà. Manu conserva il pesce in un vaso, poi lo porta al mare.

Si costruisce un battello e, nell’anno predetto dal pesce, avviene il diluvio.

Il pesce nuota verso il battello di Manu e aggancia il suo como all’imbarcazione conducendola fino alla montagna del nord.

Il pesce Matsya Avatara salva la nave di Manu dal diluvio

Manu è l’unico essere umano sopravvissuto.

Pratica l’ascesi e compie un sacificio dal quale, dopo un anno, nasce una femmina e da lei egli procreò questa posterità, che è la posterità di Manu (op. cit.).

Nella versione riportata nel Bhàgavata PuraI a (VIII, 24, 7 e segg.) il diluvio sopraggiunge durante il sonno di Brahma.

Anche qui la rivelazione degli eventi spetta ad un pesce che poi diventerà lungo un milione di miglia. Per miracolo l’arca della salvezza è concessa al rè e al capo dei sacerdoti. Il pesce mitico è un avatara di Visnu.

Il Mito Hopi (Indiani del nord America)

Nella mitologia Hopi, le persone disobbedirono molte volte al loro creatore Sotuknang.

Egli distrasse il mondo la prima volta col fuoco, poi col gelo, e lo ricreò entrambe le volte per le persone che ancora seguivano le sue leggi, che sopravvissero nascondendosi sottoterra.

Quando le persone divennero corrotte e bellicose per la terza volta.

Sotuknang li portò dalla Donna Ragno, ed ella tagliò canne giganti e riparò le persone nelle cavità dei gambi.

Sotuknang quindi causò una grande inondazione, e le persone galleggiarono sulle acque nelle loro canne.

Le canne quindi si posarono su di una piccolo pezzo di terra, e le persone emersero, con tanto cibo quanto ne avevano all’inizio.

Le persone viaggiarono con le loro canoe, guidati dalla loro saggezza intcriore (che si dice derivò da Sotuknang).

Viaggiarono verso nord-est, passando per isole sempre più grandi, fino a che non raggiunsero il Quarto Mondo.

Quando raggiunsero il Quarto Mondo, le isole si inabissarono nell’oceano.

Mito dello Jakun (Malesia)

Secondo gli antichi abitanti della regione dello Jakun, la terra dove stiamo era solo una sottile crosta su un abisso d’acqua.

Tempo fa, Pirman, la divinità, spezzò la crosta, inondando e distruggendo il mondo.

Tuttavia, Pirman aveva creato un uomo e una donna e li aveva piazzati in una nave coperta di legno di pulai.

Quando la nave finalmente si fermò, la coppia creò una via di uscita dalla nave su un lato, e videro la terra smisurata davanti ai loro occhi in ogni dirczione, il sole non era ancora stato creato, così era buio; quando si fece la luce, videro sette piccoli arbusti di rododendro e sette piccoli ciuffi d’erba sambau.

La coppia lamentò la mancanza di progenie, ma nel tempo la donna concepì due bambini dai polpacci delle gambe, un maschio dal polpaccio destro e una femmina dal polpaccio sinistro.

Tutta l’umanità sarebbe discesa da quella coppia.

Mito del Kelantan (Malesia)

Un giorno venne organizzata una festa per una circoncisione, durante la quale vennero scelte delle bestie per combattersi l’una contro l’altra.

L’ultimo combattimento avvenne tra cani e gatti.

Durante lo scontro, una grande inondazione arrivò dalle montagne, annegando tutti ad eccezione di due o tre servitori che erano stati mandati sulle colline a raccogliere legna da ardere.

Quindi il sole, la luna, e le stelle si estinsero.

Quando la luce tornò, non esisteva più la terra, e tutte le dimore degli uomini erano state distrutte.

Australia

Secondo alcuni aborigeni australiani, durante l’era dei sogni una grande rana bevve tutta l’acqua del mondo e fece iniziare una grande siccità.

L’unica maniera per far terminare la siccità era quella di far ridere la rana.

Ci provarono gli animali da tutta l’Australia.

Quando finalmente un’anguilla ci riuscì, la rana apri i suoi occhi addormentati, il suo gigantesco corpo tremò, la sua faccia si rilassò, e, alla fine, scoppiò in una risata che risuonò come un tuono.

L’acqua eruppe dalla sua bocca in un enorme inondazione. Che riempì tutti i fiumi e coprì la terra.

Solo le montagne più alte erano visibili, come isole in mezzo al mare.

Molti uomini e animali annegarono.

I pellicani all’epoca erano completamente neri, e dipinsero se stessi con argilla bianca e passarono da isola in isola in una grande canoa, a salvare altri animali neri.

Da quei tempi, il pellicano è bianco e nero in ricordo della grande alluvione.

Mito del Centro e Sud America

I racconti Maya, Incas e Aztechi presentano tutti il Diluvio Universale come la chiusura di un’epoca, di un capitolo della storia umana.

Raffigurazione di Tezcatilpoca divinità mesoamericana che creò il diluvio per distruggere l’umanità

Cosa significa per me

II Diluvio in tutte le tradizioni arriva nel momento in cui l’umanità si corrompe, inizia a seguire troppo le sue emozioni, inizia ad essere troppo impulsiva.

Gli dei quindi puniscono il genere umano con la manifestazione esteriore di ciò che sta succedendo dentro di loro “versano” sul loro capo dell’acqua.

Il fatto poi che nella maggior parte delle tradizioni a salvarsi dal diluvio siano due anziani signori, ormai “immuni” dalla passionalità tipica della giovinezza rende ancora più manifesto questo legame tra le acque e le emozioni.

Analizzando poi il mito babilonese e quello Hopi notiamo che non è la prima distruzione che l’umanità è costretta a subire, si alternarono infatti vari tipi di distruzioni legate sempre ai 4 elementi.

Nel mito Hopi l’umanità passo prima attraverso il fuoco poi attraverso il gelo e infine attraverso il diluvio… potrebbe rappresentare una sorta di passaggio iniziatico?

Nel mito babilonese invece l’umanità passò attraverso peste, siccità e carestia… potrebbero essere collegati a aria, fuoco e terra e infine all’acqua con il diluvio?

I metodi di salvataggio poi fanno sempre riferimento a “imbarcazioni” di legno, che sia di canna, legno di palma o altro non conta è comunque una rappresentazione della terra che vince sulle acque, della materialità elevata attraverso le emozioni che le vince.

La parte spirituale in questo racconto è presente sia negli avvisi che i vari Dei danno ai salvatori sia nella vera e propria costruzione dell'”arca”.

Essa infatti viene fatta con il legno della casa da sempre simbolo dell’uomo e del tempio oppure viene creata da una sorta di figura mitologica come la Donna Ragno della tradizione Hopi.

In questo mito in pratica, secondo me, si celebra la vittoria dell’umanità purificata che ha compreso il suo posto contro quella dominata dall’emozionalità e dalla loro parte istintuale.

Nelle tradizioni orientali come quella indiana o cinese il collegamento all’acqua è anche celebrato dalla corporeità che prende il dio incaricato di annunciare la catastrofe.

 

Silvia

Il Mito di Perseo

La Mitologia è solo un dettagliato contorno del quadro che rappresenta la nostra vita, o forse la possiamo intendere proprio come lo sfondo su cui poi viene a disegnarsi l’esistenza di ogni singolo individuo?

Bisogna solo mettersi d’accordo se dargli semplicemente la funzione di cornice, oppure di elemento fondamentale che funge da guida verso il cammino di crescita dell’Uomo.

E’ a questo proposito che mi sono interrogato su Perseo …

Perseo … un Uomo o l’Umanità? Perché questa domanda: tutti non possiamo fare a meno di identificarlo  come  un  eroe. Ma  chi  è l’Eroe?

E’ l’Eroe  dentro  di noi.

Perseo  è l’archetipo  di un cammino che Uomo e Donna devono affrontare per guadagnarsi un posto nell’Universo…  nel proprio Universo.

Pensiamo  alle origini di Perseo: figlio di Zeus che, trasformatosi  in gocce d’oro, fecondò Danae, una mortale figlia del re Acriso.

Questo concepimento simboleggia la scintilla divina che ognuno di noi  possiede all’interno  del  proprio  Tempio;  quella  fiammella che va gelosamente custodita e alimentata.

Quindi, ancor prima di cominciare, il mito da’ il suo avvertimento: tutti abbiamo le stesse possibilità; basta non far spegnere quella fiamma che i nostri Genitori ci hanno donato insieme al loro seme, così prezioso da essere paragonato ad una “goccia d’oro”.

Si narra che Acriso avesse avuto dall’oracolo la notizia che avrebbe trovato la morte per mano di suo  nipote.

Per  questo  l ‘infante Perseo,  insieme  alla  madre  Dana e,  venne  abbandonato  in una cassa in mezzo al mare.

L’acqua, veicolo di tutta la materia, è colei che si porta appresso la memoria di tutte le cose; Danae e Perseo vengono custoditi nel buio, all’interno della cassa. All’esterno c’è una situazione di umido.

Il Seme Divino è custodito nella terra, una terra umida, bagnata dall’acqua salvifica che li porta ad essere ritrovati da un pescatore dell’isola di Serifo.

Così il re Polidette li accolse nella sua reggia e Perseo, circondato dall’amore della madre, crebbeforte e valoroso, come la pianta cresce sana e robusta da un buon contadino  che  la  cura  e  la protegge.

Danae è un elemento importante per Perseo, poiché rappresenta la Terra che lo  ha concepito e lo ha protetto.

Polidette,  invaghitosi di Danae, volle costringerla in tutti i modi a sposarlo, ma lei non lo ricambiò, avendo come unico pensiero suo figlio.

A quel punto Polidette chiese a Perseo di portargli la testa della Gorgone Medusa, nella speranza che morisse nell’impresa e facendo così in modo che la madre avrebbe acconsentito a sposarlo.

Perseo subisce il secondo distacco: quello della madre, della forza che lo ha cresciuto e protetto. Il primo distacco era avvenuto con l’allontanamento dalla sua Terra Natale. Bisogna allontanarsi dalle prime Terre… perché si deve imparare ad affrontare altre Terre, nuove Terre: quelle infernali e inquietanti che non si vogliono mai conoscere.

E da qui, comincia il cammino Spirituale dell’Uomo.

E’ chiaro che ogni riferimento va rapportato all’interno del proprio Essere.

Perseo non sarebbe mai riuscito nell’impresa, se Atena ed Ermes non fossero accorsi in suo aiuto.

Ma chi sono realmente questi dei? Sono la Sapienza e l’Astuzia, anche se quest’ultima è intesa pure come Intelligenza.

E’ quando ci sentiamo lontani dalla nostra Terra che possiamo chiamare in soccorso gli Dei, i nostri Dei.

Atena gli donò uno scudo lucente e ben levigato: Io scudo è il simbolo dell’Universo, infatti il guerriero che lo porta oppone il Cosmo al suo avversario.

La Sapienza dona l ‘Universo, cioè tutto quello che un uomo ha conquistato con la conoscenza, con l’apprendimento, con l’esperienza.

Nello scudo, quindi, è rappresentato tutto ciò che si ottiene trionfando, o tutto ciò che si perde morendo.

Inoltre la lucentezza fa dello scudo uno Specchio: nel momento in cui l ‘avversario si rispecchia in esso, egli può vedere tutto il suo Sapere riflesso; se è una Sapere che deriva dall’esperienza, allora egli può essere un degno avversario; altrimenti, se è un Sapere nato dal rubare il pensiero altrui, allora è in quel momento che lo scudo diventa il suo carnefice.

E lo scudo diventa sia un mezzo di difesa, come di attacco, dall’etimologia latina scindo= tagliare, fendere.

Ermes, invece, gli donò una spada.

Se è la Sapienza che ci fa imbracciare lo scudo, allora l’Intelligenza ci fa brandire la spada, simbolo della Giustizia; la Giustizia regge la spada in una mano e nell’altra una bilancia; ciò sta a significare che noi, dotati di Sapienza, possiamo ricorrere alla Giustizia, se ovviamente ne siamo degni… e sono i nostri “Dei” a comunicarcelo.

Basta non aspettare il Giudizio dal Cielo, se non perlomeno dal nostro Cielo; o ancora meglio, parlando di Giustizia, dai nostri reni…

Sì, il discorso sta proprio alla “base”: la nostra Giustizia risiede nei reni, dove ha sede il midollo, dove parte la colonna vertebrale (la famosa bilancia che la Giustizia tiene in mano).

Dobbiamo scoprire la Deità all’interno del nostro Corpo Fisico, per migliorare il nostro Corpo Spirituale.

Cos’è quest’arma che ci è stata donata?

Così come lo scudo ha l’ambivalenza di difesa e di attacco, anche la spada ha in sé un potere costruttivo:  a doppia lama rappresenta il doppio potere, il dualismo sessuale e, attraverso di esso, il Verbo fa sì che si generi qualcosa; infatti il simbolo fallico che può assumere la spada è Creatore ed è proprio Ermes (Mercurio) a fare questo dono.

La spada rimanda al simbolo della Croce, che rappresenta i quattro elementi; essa può dominarli: la spada innalzata verso il cielo genera i fulmini e funge da antenna; la spada piantata in terra da’ origine a fonti d’acqua.

Inoltre Perseo avrebbe dovuto farsi donare dalle ninfe i calzari alati, l’elmo di Ade, che rendeva invisibile, e una sacca magica, nella quale riporre la testa di Medusa.

Le ali sono il simbolo della leggerezza spirituale, del distacco dalla Terra verso il Cielo; Ermes, l ‘Intelligenza, non aveva forse le ali per volare veloce come il “Pensiero”?

L’uomo deve sviluppare il Pensiero e portare la propria Terra verso ilsuo Cielo.

Chi conosceva la dimora delle Ninfe erano le tre Graie, sorelle delle Gorgoni, nate vecchie, in quanto non avevano mai conosciuto la giovinezza.

Esse avevano un occhio e un dente che si scambiavano per poter vedere e mangiare.

Come può un vecchio ridursi  ad uno stato di decadenza così grave?

E’ qui che bisogna soffermarsi sulla differenza tra il Vecchio e l’Anziano.

L’Anziano è colui che ha conquistato la saggezza e non lascia che il tempo intacchi la sua Spiritualità.

Chi invece è privo di Spirito, chi non ha affrontato se stesso, viene corroso dagli eventi e ne diventa vittima, fino al momento in cui è costretto a condividere  un solo occhio  e un  solo dente con altri suoi simili…  e bestemmia  all’Esistenza ingiusta: costui potrà solo chiamarsi Vecchio.

Perseo, dunque l’Uomo,  si ritrova  ad  affrontare  in se stesso questo dubbio.

L’Uomo ha paura  del tempo che scorre inesorabile … e molto spesso non lo sfida; bisogna superare questa paura; affinché il susseguirsi degli eventi non intacchi il nostro Tempio, è necessario affrontarlo e fare in modo di essere Noi a decidere per noi stessi.

Perseo sfruttò la debolezza delle Graie, rubando l ‘unico occhio in cambio dell ‘ubicazione della dimora delle Ninfe.

Ora l ‘Eroe ha tutti gli strumenti a sua disposizione; è il Bagatto che può lavorare con i quattro elementi.

Volando nella Terra di Medusa, trovò uomini e animali pietrificati.

Perseo camminò all’indietro usando lo scudo come specchio.

Rappresenta l’Uomo che, ora munito della Sapienza e dell’Esperienza, cammina a ritroso nella sua terra “dannata” ad affrontare i propri Mostri. Mostro vuol dire “sconosciuto”; ed è quello che ci spaventa… l’ignoto…

L’ignoto ci fa rimanere pietrificati, in continua stasi, verso il cammino della conoscenza.

Ma se affrontato appunto con la Sapienza (lo scudo) e la Giustizia (la spada), ci porta alla scoperta e alla realizzazione di Grandi Opere.

E’ spaventoso! Ma solo perché “Mostro”, perché Sconosciuto. Ora che l ‘ignoto è stato affrontato, possiamo Creare.

Perseo tagliò la testa di Medusa e la ripose in un sacco e, dal sangue che ne sgorgò copioso sullaterra, nacque Pegaso: creatura  divina, di candido  colore, nata dalla  nera  terra attraverso  il rosso sangue. E attraverso questa nuova creatura poter volare verso Nuove Terre, dopo aver affrontato il passato e le paure.

E fu  così che Perseo volò sopra il deserto e le gocce del sangue di Medusa che toccarono la sabbia dettero origine a serpenti velenosi.

Questi serpenti, sono il simbolo a cui l’Uomo fa riferimento durante il suo ritiro spirituale.

Perseo ci ha lasciato un’eredità.

Ma il viaggio non finisce qui; bensì questo è il momento più importante di tutto il mito.

Perseo, volando sulle terre degli Etiopi, intravide una bellissima fanciulla nuda incatenata ad uno scoglio; la fanciulla era Andromeda.

Ella scontava una colpa commessa dalla madre Cassiopea, la quale si dichiarò più bella delle Nereidi (ninfe del mare).

Queste, gelose, chiesero vendetta a Poseidone, il quale inviò in quelle terre, dalle oscure profondità del mare, un mostro devastatore.Per placare la sua ira, il responso fu che Cassiopea avrebbe dovuto offrire sua figlia Andromedaalla creatura marina.

Perseo così si offrì di cambiare il destino della fanciulla,  chiedendola in sposa una volta abbattuto il mostro. Il re accettò l’offerta e Perseo, in groppa a Pegaso, cominciò l’ardua lotta, fino a che,aperta la sacca contenente la testa di Medusa, il mostro si pietrificò; nel frattempo, mentre Perseoliberava Andromeda, le Ninfe del mare rubarono un po’ del sangue dalla testa di Medusa, che acontatto con il mare, si trasformò in coralli.

E’ l’Uomo che libera la propria Anima (la donna) dallo stato materiale (lo scoglio); l’anima infatti è Per prima cosa si affronta un nuovo Mostro, perché le prove non smettono mai di porsi davanti al nostro cammino; l’Uomo- Eroe vola sulle acque, cioè sul veicolo della sua Anima e affronta il Mostro che la potrebbe divorare.

La testa di Medusa è uno “strumento del potere” che Egli è riuscito a dominare e che perciò può utilizzare nei momenti di bisogno; è uno stato di coscienza che abbiamo raggiunto …

E il nuovo Mostro può essere sconfitto …

E la propria Anima viene finalmente innalzata e fatta volare con noi nei Cieli…

E creiamo degli splendidi coralli a contatto con le acque!

Perseo innalzò tre altari: uno a Zeus, uno ad Atena  e uno a Ermes;  sono i nostri tre Fuochi interiori; sono le pietre che, attraverso il lavoro, si rendono cubiche.

Zeus è il principio creatore, fuoco dell’Eros; Atena è la Sapienza, fuoco di Philos; Ermes, Mercurio alato, è la scintilla divina, l ‘Intelligenza, fuoco di Agape. Insieme, questi tre altari, hanno elevato l’Anima di Perseo, cioè, l’Anima dell’Uomo.

C’è sempre qualcuno che reclama il diritto della propria Anima, anche se fino a poco tempo prima l ‘aveva abbandonata in balìa degli eventi.

Fineo, fratello  del re, reclamò la mano di Andromeda,  essendo suo promesso  sposo.

Ma ne aveva perso  il diritto una volta lasciato che la stessa andasse in sacrificio al mostro.

Perseo affrontò una cruenta lotta, da solo, contro tutti gli alleati di Fineo.

Tirando fuori  la testa di Medusa pietrificò  tutti.

In  realtà  Fineo  rappresenta  una  parte  di Perseo,  cioè dell’Uomo  che, dimenticatosi  della  propria Anima, la reclama volendola riportare allo scoglio a cui era legata; dobbiamo lottare con quella parte di noi, l ‘Ego, che ci induce sempre ad uno stato abitudinario.

Quando Perseo e Andromeda, ormai sposati, decisero di tornare a Serifo dalla madre Danae, scoprirono che ella era condannata a morte dal re Polidette, per non aver ricambiato il suo amore; Perseo, ancora una volta deve salvare una parte di se stesso: la sua Forza Femminile, quella con cui è cresciuto, quella che l ‘ha reso forte.

Così, attraverso il suo potere, riesce a pietrificare anche Polidette (sempre una manifestazione dell’Ego).

Ora che Polidette era morto, madre e figlio poterono finalmente  fare  ritorno alla loro terra natale, circondata dalle acque.

Argo, per riconciliarsi con re Acriso.

Perseo riconsegnati i calzari e l’elmo alle Ninfe e la spada adErmes e dopo aver donato la testa di Medusa ad Atena che la poneva  come trofeo in mezzo al suoal petto, con la madre e Andromeda salpò alla volta di Argo mentre il magico Pegaso volava viaverso  l ‘Olimpo.

Re Acriso, saputo dell’arrivo del nipote e di sua figlia, per paura dell’antica profezia fuggì via dal suo regno e riparò a Larissa  in Tessaglia.

Quindi l’Uomo può riconsegnare  tutti i mezzi con cui ha compiuto l’impresa, oramai interiorizzati, e ritornare al suo punto di origine … Ma con un’ottava superiore.

Oramai famoso  in tutte le terre conosciute, fu  invitato a partecipare  in Tessaglia a Larissa  a delle gare sportive e mentre lanciava il disco, la potenza  impressa allo stesso fece  si che questo andasse oltre gli  spalti, per  colpire  uno sfortunato  spettatore  che altri  non  era  che re Acriso  che si  era mischiato tra la folla.

ll Vecchio soccombe, affinché l’Anziano trasmetta la sua esperienza ai posteri.

Negli anni che seguirono Perseo regnò in pace e con saggezza fino alla fine dei suoi giorni,fondando tra l’altro il regno di Micene così chiamato perché un giorno poté dissetarsi presso un ruscello che era sgorgato miracolosamente  da un fungo  (mycos =fungo).

Alla sua morte, la dea Atena, per  onorare la sua gloria, lo trasformò in una costellazione cui pose affianco la sua amata Andromeda e la madre Cassiopea la cui vanità aveva fatto si che i duegiovani si incontrassero.

Ancor oggi, alzando lo sguardo verso il cielo, possiamo ammirare le trecostellazioni a ricordo della loro vita e soprattutto del grande amore dei due giovani.

Quest’ultimo  punto  del  mito,  che  sembra  meno  impegnativo,  in  realtà  vuole  dimostrare  come l’Uomo, una volta raggiunta la meta che gli darà il nome di Iniziato, non smette di ricercare e di “regnare” appunto sulla propria Terra… ma continua il suo cammino seguendo i principi  che lo hanno formato e che lo porteranno fino alle Stelle.

Dunque la Mitologia … Cornice o sfondo? O tutti e due?

La risposta, come ci insegna la storia, è personale…  Ed è proprio questo il bello delle antiche tradizioni e dei grandi artisti: creare un’opera che sia leggibile per chiunque e dove ognuno, a suo piacimento, può trovare i propri significati che fungeranno da guida per la propria vita quotidiana.

Siamo Uomini … comportiamoci da Eroi … per arrivare ad essere Dei!

Matteo

La Sublimazione Alchemica e le Aquile

L’aquila, considerata un animale solare da molte tradizioni, ha un particolare rilievo nella simbologia alchemica. Tratteremo qui della fase dell’Opus Alchemicum denominata “Le Aquile” e dell’ascesa e discesa dello spirito del mercurio nel vaso alchemico.

Messaggero di Zeus nella mitologia greca e di Vishnu, col nome di Garuda, in quella induista, nella mitologia asiatica e nordeuropea, l’aquila è l’unico animale che può fissare impunemente il sole.

Adottata più volte come emblema da potenze imperiali (ad esempio, dalla Persia achemenide, dalla Roma dei Cesari, dalla Francia di Napoleone e dall’America moderna) il re degli uccelli diviene nel Cristianesimo anche simbolo angelico e designa uno dei quattro evangelisti.

L’aquila simboleggia il sole sia nella mitologia asiatica che presso gli aztechi, i quali ritenevano che sia gli uomini caduti combattendo, che quelli sacrificati ritualmente, avessero la funzione di nutrire la Grande Aquila solare.

Spesso viene contrapposta al serpente nel prefigurare la dialettica tra cielo e terra o tra volatile e fisso (nei Veda, nella mitologia azteca e maya e in alcuni testi alchemici).

Gli sciamani dell’America e dell’Asia (in particolare quelli siberiani) hanno anche visto nell’aquila lo psicopompo che li guida nell’esplorazione dei mondi invisibili.

In questo articolo ci interesseremo in modo particolare all’aquila in alchimia, con particolare riferimento alla fase dell’Opus cosiddetta delle “aquile”.

Prima di occuparci direttamente della sublimazione e delle “aquile”, è necessario richiamare brevemente in quale momento dell’Opus alchemicum vada collocata questa fase e ciò che viene detto sul Vaso su cui si opera.

Nell’Opus alchemicum, dopo l’importantissima fase della congiunzione degli amanti (del Sole e della Luna nel bagno alchemico, dello Zolfo e del Mercurio, del fisso e del volatile), c’è quella della loro putrefazione, cui fa seguito la nascita di un Bambino Filosofico che è “più vecchio dei suoi genitori”.

Questo bambino deve, secondo gli alchimisti, essere continuamente nutrito con un alimento appropriato. Santinelli, ad esempio, sostiene che tale alimento deve consistere in un “debole mestruo” finché il bambino si trova ancora nel ventre materno, cioè nel Vaso Alchemico, e di “latte di Vergine” dal momento in cui viene alla luce uscendo dal Vaso.

Accanto all’immagine del Bambino Filosofico, il germe che deve svilupparsi nell’Oscurità del Vaso, altre immagini ed allegorie costellano questa Fase dell’Opera e, tutte, alludono alla necessità di purificare la “Terra Filosofale” contenuta nel vaso, liberandola dall’Ombra e dalla Morte.

Prima di indagare sulle operazioni necessarie per ottenere tale “depurazione”, soffermiamoci per un istante sulla natura del Vaso.

Tutti i testi concordano sul fatto che il Vaso deve restare ermeticamente chiuso fino a quando la materia che contiene non sia stata completamente “lavata e sbiancata” e siano state “eliminate le fecce che la insozzano”.

Chi non si curasse di prendere questa precauzione rischierebbe il fallimento dell’intera Opera, e il risultato sarebbe l’esplosione del Vaso e la conseguente proiezione violenta del suo contenuto sull’ambiente circostante.

A proposito del Vaso, Santinelli così mette in guardia i suoi lettori: “Ma tu, o lettore, quando a tempo debito vorrai porre nel vaso la tua opera, cura che sia Sigillato il vaso dalla tua accortezza, in modo che possa trattenere al suo interno la virtù in tutto il suo vigore e non escano dal vaso quelle acque salutari e preziosissime: in questo infatti consiste il pericolo. Perciò unisci la tua opera a quella della natura, in modo che essa sia la tua maestra, ed osserva come essa con tale sigillo operi o non, ma abbi sempre in mente l’arcana della natura, sia ponendo nel vaso, sia sigillando nel vaso; infatti la conoscenza dell’una cosa, insegna l’ordine dell’altra. Se vuoi togliere il freddo alla casa accendi il fuoco, se vuoi trattenere in patria l’errabondo, circonda le mura di nemici; per non cadere, evadendo, nelle mani dei nemici, rimarrà in patria. Sii prudente“.

Tre cose devono però essere note all’alchimista, dice ancora Santinelli, se egli vuole portare a termine con successo la sublimazione della materia prima e purificarla completamente: 1) il fuoco; 2) la Sostanza Secca; 3) il Vaso.

Queste tre cose sono distinte ma anche inseparabili e se si vuole ottenere una di esse devono essere note anche le altre due.

La Sostanza Secca (altrove presentata come acqua) deve aderire al vaso: “altrimenti non varrebbe a nulla il lavoro … Perché aderisca deve essere simile alla natura del Vaso“.

Tale Vaso, ci dice Santinelli , “deve essere del vetro più puro estratto dalle ceneri con sagacissimo ingegno, vaso pulitissimo e della natura del fuoco“.

Nel suo commento alle Visioni di Zosimo Jung riporta numerose citazioni tratte da testi alchemici, riguardanti l’arcano del Vaso. Riportiamo qui quelle per noi più significative.

Dal Rosarium philosopharum: “Unus est lapis, una medicina, unum vas, unum regimen, unaque dispositio“.

Dalle Allegoriae sapientum: “Anche la nostra pietra, ossia l’ampolla del fuoco, è creata dal fuoco“.

Dalla Philosophia reformata di Mylius: “II vaso è la radice e il principio dell’arte nostra“.

Da Eracleone: “Io sono un vaso più prezioso della creatura femminile che vi ha generato. Giacché, mentre vostra madre non conosce le proprie radici, io ho nozione di me stesso e conosco da dove provengo, e invoco la imperitura sapienza che è nel Padre, e che è madre della vostra madre; ella che non ha madre alcuna e neppure si accompagna ad alcun uomo“.

Infine, ci ricorda Jung, Michael Mayer attribuisce a Maria l’Ebrea (una mitica sorella di Mosè) l’opinione che tutto il segreto stia nella conoscenza del vaso ermetico.

Quest’ultimo sarebbe infatti divino e sarebbe celato agli uomini dalla sapienza del Signore. Jung riporta anche l’opinione di Dorneus, secondo il quale il vaso dovrebbe venir prodotto dalla quadratura del cerchio.

Cerchiamo ora di indagare sull’operazione descritta dagli Alchimisti con il nome di Sublimazione, Purificazione, Lavaggio, Preparazione delle ceneri, Sbiancamento della Materia, Scremazione del Latte e che Trismosin nel “Toison d’or” descrive attraverso l’immagine delle lavandaie che fanno il bucato alla biancheria sporca e con l’impresa di Ercole consistente nel pulire le stalle di Augia deviando dal suo corso il fiume Alfeo.

Secondo Santinelli l’alchimista deve elevare fino al cielo il Mercurio contenuto nel Vaso, “assieme ai suoi mestrui minerale e vegetale” perché questi mestrui lavino la terra intera e “per fabbricare il fulmine dello zolfo, il quale in un batter d’occhio penetri i corpi e riduca al nulla i loro escrementi”.

Filalete invece in “L’entrata aperta al palazzo chiuso del Re” afferma che: “Qui la madre sigillata nel ventre del suo bambino si innalza e si purga, cosicché di fronte alla tanto grande purezza in cui è mantenuto il composto, la putrezione se ne allontana“.

In Lambsprinck, nel commento all’ottava figura, ritroviamo invece un motivo comune alla maggior parte dei testi alchemici, quello cioè dei due principi opposti ed in lotta tra loro che devono essere fusi in un unico principio: la figura mostra due uccelli che si dilaniano a vicenda ed il commento dice: “I due uccelli, Corpo e Spirito, si divorano l’un l’altro, così deve essere“.

Ritroviamo questa stessa contrapposizione agli albori dell’alchimia in Zosimo, il quale ha la seguente visione: “… Dicendo queste cose mi addormentai e vidi un sacrificatore in piedi davanti a me , sopra un altare a forma di Vaso. Per salire su questo altare c’erano quindici gradini. Il sacerdote vi si teneva in piedi ed io udii una voce dall’alto che mi diceva: “ho compiuto l’azione di discendere i quindici gradini camminando verso l’oscurità e l’azione di salire sui gradini andando verso la luce. È il sacrificatore che mi rinnova rispettando la natura pesante del corpo. Così, consacrato sacerdote per necessità, divengo uno spirito“. Più oltre Zosimo ha un’altra visione: “Vidi un altare a forma di Vaso; uno spirito igneo in piedi sull’altare presiedeva all’effervescenza al ribollire ed alla calcinazione degli uomini che si elevavano. Mi informai a proposito di quelle persone e dissi: “Vedo con stupore l’effervescenza ed il ribollire; come possono essere ancora vivi questi uomini in ignizione?” E, rispondendomi, egli mi disse: “Questa effervescenza che tu vedi è il luogo ove si esercita la macerazione. Gli uomini che vogliono ottenere la virtù entrano qui. Essi perdono i loro corpi e divengono spiriti … rigettando la pesantezza del corpo, divengono spiriti“.

La dualità spirito-corpo ritorna spesso nei testi alchemici come opposizione tra il Fisso, assimilato al Corpo, ed il Volatile, caratteristica attribuita allo Spirito.

La pietra degli alchimisti dovrà infine avere in sé entrambe queste due qualità: la stabilità e la solidità del corpo (l’apertura prematura del vaso associata alla fuga degli spiriti vitali dal compost che lasciano nelle mani dell’adepto solo la materia inerte e morta) e la vitalità e la luce che lo spirito porta con sé.

Per ottenere questa fusione tra i due principi, l’alchimista deve, più e più volte, compiere due operazioni opposte: la discesa dello spirito, del volatile, nelle regioni più “basse” condizionate ed oscure del corpo e l’ascesa delle parti corporee verso la sommità del vaso, ove regnano i “vapori spirituali”.

Albert Poisson così descrive questa fase: “La distillazione è talvolta scissa in due tempi o operazioni:

1) ascensione dei vapori o sublimazione, simbolizzata da un uccello che si eleva, la testa diretta verso l’alto della figura;

2) condensazione dei vapori in liquido: precipitato o discensione, simbolizzata da un uccello che scende, la testa diretta verso il basso della figura. Nel grande Rosario, un bambino che si slancia nell’aria uscendo dal sepolcro ove era racchiuso l’ermafrodito chimico, raffigura la sublimazione”.

La lotta drammatica tra il Fisso ed il Volatile è spesso rappresentata come conflitto tra due animali simbolici, uno dotato di ali e l’altro no (due draghi, un leone alato ed un serpente, Aquila e serpente, aquila e leone.)

Se l’esito del combattimento è quello sperato lo spirito viene “fissato” dal corpo ed il corpo purificato e sublimato dallo spirito.

A questo proposito così si esprime il “Viridarium chemicum”: “Qui sul sarcofago giace il nostro corpo venerabile. Accanto gli è lo spirito, ma la Mente ritorna dall’asse. Fà che dapprima questa si diriga verso le eccelse plaghe dell’etere e di nuovo dal polo etereo voli verso le più basse regioni. Così congiungerà a sé le amiche forze del Cielo e della Terra e con la sua opera vivificherà il corpo“.

Due principi dunque “abitano” il vaso alchemico e la lebbra che affligge la Materia Prima, più che identificarsi con il fisso o con il volatile, col corpo o con lo Spirito, risiede nella loro mancata integrazione, nella loro separazione.

L’alchimista, quindi, non potendo rinunciare né all’uno né all’altro, deve riuscire ad amalgamare e fondere insieme Spirito e Corpo, realizzando la conciliatio oppositorum.

Gli opposti devono prima lottare divorarsi ed uccidersi a vicenda perché la loro unione possa realizzarsi.

Questa operazione ha, come si è visto, due aspetti, quello del costringere la terra corporea e pesante ad elevarsi verso le regioni dello Spirito e quello consistente nell’obbligare lo Spirito ad abbandonare i “cieli filosofici”, ove può spaziare liberamente, costringendolo a discendere nelle regioni più pesanti e condizionate dai vincoli terrestri perché possa vivificare rivitalizzare e “rendere consapevole” il corpo.

Ognuno di noi conosce, nel corso della sua vita, periodi che si possono ascrivere all’una o all’altra fase di questo processo alchemico.

È importante riconoscere che nessuna delle due fasi è scevra da pericoli e che la tentazione di “aprire il vaso” e porre fine alle terribili sofferenze dell’Opera che, secondo alcuni alchimisti, si manifestano con “un odore nauseabondo che, però, non si percepisce con il naso”, può farsi fortissima, sia quando si tratta di distaccarsi da tutto ciò che ci è caro liberandosi da ogni attaccamento materiale per poter ascendere verso regioni più elevate dell’essere, sia quando si viene costretti e delimitati e ci si sente soffocati persi e imprigionati dai legami e dai vincoli, dai problemi pratici della vita.

D’altra parte senza la fase della “Discensione” nelle mani dell’alchimista non resterebbe che l’inutile astrattezza dei suoi buoni propositi, delle sue petizioni di principio e delle nozioni accumulate, ma la sua “materia prima” non subirebbe nessuna vera trasformazione.

Secondo Filalete, questa fase di integrazione tra princìpi opposti prende il nome di “Regime di Giove” ed è contraddistinta dall’apparizione di tutti i colori dell Iride, man mano che l’Opera si avvia verso la purificazione della Materia, fino a che il colore bianco non domina incontrastato su ogni altro colore.

Uno dei primi testi alchemici, redatto in ambienti gnostici nell’Egitto Alessandrino nei primi secoli dopo Cristo, noto come “Libro di Comarius, filosofo e gran sacerdote che insegna a Cleopatra l’arte divina e sacra della Pietra Filosofale”, già contiene questa associazione tra la sublimazione alchemica ed i colori dell’iride.

Nel libro Ostane ed i suoi compagni si rivolgono a Cleopatra con queste parole: “In te è nascosto tutto il mistero strano e terribile. Rischiaraci diffondendo la tua luce a lungo sugli elementi. Dicci come il più alto discende verso il più basso e come il più basso salga verso il più alto …come le acque benedette discendano dall’alto per visitare i morti distesi, incatenati, schiacciati nelle tenebre e nell’ombra all’interno dell’Ade, come il rimedio vitale giunga loro e li risvegli traendoli dal loro sonno nel loro soggiorno particolare, come penetrino le acque nuove prodotte dall’inizio e durante il loro giacere e giunte per l’azione del fuoco. La nube le sostiene: si eleva dal mare sostenendo le acque” e Cleopatra così risponde loro: “Le acque giungendo risvegliano i corpi e gli spiriti imprigionati ed impotenti. In effetti, disse ella, essi di nuovo giaceranno e di nuovo saranno rinchiusi nell’Ade. Ma a poco a poco si sviluppano, si rialzano e si rivestono di colori vari e gloriosi, come i fiori a primavera e la stessa primavera è gioiosa e si rallegra della loro bellezza“.

I vapori sprigionati dalla Materia Prima sottoposta all’azione del fuoco devono ascendere e precipitare varie volte nel vaso prima che l’opera di purificazione della materia possa dirsi conclusa.

Le illustrazioni del “Mutus Liber” di Altus mostrano l’Alchimista e la sua Soror Mistica mentre preparano lo zolfo ed il Mercurio presentati con le immagini di un fiore e di una stella.

Prima di entrare nel vaso sigillato, il fiore e la stella vengono accuratamente pesati e paragonati con una bilancia a due piatti, forse per controllare che i loro pesi siano eguali.

Anche Fulcanelli, nelle “Dimore Filosofali”, parla dell’alternarsi di un fiore e di una stella durante l’Operazione di Sublimazione Alchemica: “Quando il mercurio giunge a bagnare lo zolfo non dissolto questo scompare ed appare la Stella, manifestazione esteriore del Sole interno. Lo zolfo (il fiore) ricompare poi alla decantazione, all’allontanamento della materia astrale. In sette riprese successive le nubi nascondono allo sguardo ora la stella ora il fiore a seconda delle fasi dell’operazione cosicché l’artista non può mai scorgere simultaneamente i due elementi del composto“.

L’agitarsi della Materia durante le sublimazioni è talvolta accostato al cataclisma universale che precederà la fine del mondo o alle cataratte del Diluvio Universale.

La colomba, che riporta a Noè il ramo d’ulivo il settimo giorno rappresenta allora la pace raggiunta tra i contrari.

Dice Canseliet che ogni volta che la Colomba si invola lascia una parte di sé alla materia greve che contribuisce ad agitare. Alla fine il letto di piume che si viene a formare sarà il giaciglio di Re e Regina o… “il nido del pollo di Ermogene” , da dove risorgerà la fenice eterna.

L’operazione della Sublimazione alchemica riceve talvolta il nome di “Aquile”. Fulcanelli così commenta l’origine di questa strana denominazione: “Lo Spirito non può abbandonare completamente il corpo, ma si riveste di un abito più consono alla sua natura, più obbediente alla sua volontà e fatto con le particelle nette e purificate che può raccogliere intorno a sé per servirsene come nuovo veicolo.”

Tale separazione o sublimazione del corpo e manifestazione dello spirito deve ripetersi tante volte quante si riterrà necessario. Ogni ripetizione si dice “aquila”.

Filalete afferma che la quinta aquila scioglie la Luna, ma che per ottenere lo splendore del Sole ne occorrono da sette a nove .

La parola greca “αίγλη” significa “splendore, viva chiarezza, luce, torcia” e quindi far volare l’aquila equivale a far brillare la luce portandola alla superficie e sottraendola dal suo scuro rivestimento.

Lo spirito, aggiunge Fulcanelli, è però in piccola proporzione rispetto al corpo e l’artista prudente deve far sì che ciò che è in fondo venga in superficie, se si vuol vedere la luce metallica interna irradiare all’esterno.

Altrove lo stesso autore sostiene che alle Aquile si allude nell’inno a Delo di Callimaco: ” … I cigni girarono sette volte attorno a Delo e non avevano ancora cantato l’ottava volta che nacque Apollo” e nella processione che Giosuè fece fare, sette volte, attorno alle mura di Gerico prima della loro caduta.

Secondo Filalete (op. cit.) le aquile sono una “pulitura del Mercurio” che risulta tanto più purgato “mediante l’aggiunta dello Zolfo che è il vero oro” quanto più numerose sono le Aquile.

Sul finire delle “Aquile” si assiste alla nascita del Leone Rosso, generato dal sangue di quello Verde.

Le Aquile devono prima divorare il Leone Verde e quanto minore è il loro numero, più aspra e lenta sarà la vittoria.

Il loro numero ideale è sette o nove (ogni Aquila indicando una sublimazione del Mercurio dei Filosofi):

Mentre la luna è splendente nel suo plenilunio, fornita di ali l’Aquila volerà via lasciando dietro di sé le Colombe di Diana morte, se esse non fossero morte al primo incontro non potrebbero servire; ripeti questo sette volte, fino a che finalmente avrai raggiunto la quiete e ti resterà soltanto da fare la semplice decozione, che è cosa perfettamente tranquilla, gioco di fanciulli e lavoro di donne“.

Tutti gli autori sono d’accordo nel sostenere che, al termine della Sublimazione, la materia assume un colore bianco splendente “simile a quello della Luna”.

Zosimo raccomanda di “ripetere il lavaggio sette volte in un Vaso di Ascalonne, questo lavaggio è il primo imbiancamento e la sparizione della colorazione nera” e ci spiega che “l’imbiancamento consiste nell’atto di bruciare; ora bruciare è rivivificare con il fuoco, perché delle simili materie si rivivificano da se stesse, esse si fecondano da se stesse e generano così l’ animale cercato dai Filosofi“.

Il modo migliore di concludere questo breve viaggio attraverso la Sublimazione Alchemica e le “Aquile” ci sembra quello di citare il seguente brano, tratto dal “Desiderio Desiderato” di Nicolas Flamel: “Prendi ciò che è precipitato in fondo al vaso, puliscilo bene al calore del fuoco, fino a farne sparire il colore nero e ad eliminarne la densità e la sporcizia. Fanne anche volatilizzare e dissolvere ogni aggiunta di umidità, finché il tutto diventi come Calce bianchissima, essendo scomparsa ogni macchia ed ogni scoria. Allora la Terra sarà pura e pronta a ricevere l’Anima. La Fecondazione, corroborando e confrontando ciò che è stato mutato, costituisce la promessa, dopo il Concepimento, di qualcosa dotato di più grande perfezione; e quel che è stato ben purgato, si congiungerà poi in una buona pace. Il Parto si verifica quando il Fermento dell’Anima si congiunge con il Corpo, cioè con il Corpo e la Terra resi bianchi, in modo che del tutto si faccia Uno, tanto nella Sostanza che nel Colore. Allora sarà nata e compiuta la nostra Pietra dalla perpetua vita“.

di Alessandro Orlandi