Apr 25 2016
La Sublimazione Alchemica e le Aquile
L’aquila, considerata un animale solare da molte tradizioni, ha un particolare rilievo nella simbologia alchemica. Tratteremo qui della fase dell’Opus Alchemicum denominata “Le Aquile” e dell’ascesa e discesa dello spirito del mercurio nel vaso alchemico. Messaggero di Zeus nella mitologia greca e di Vishnu, col nome di Garuda, in quella induista, nella mitologia asiatica e nordeuropea, l’aquila è l’unico animale che può fissare impunemente il sole. Adottata più volte come emblema da potenze imperiali (ad esempio, dalla Persia achemenide, dalla Roma dei Cesari, dalla Francia di Napoleone e dall’America moderna) il re degli uccelli diviene nel Cristianesimo anche simbolo angelico e designa uno dei quattro evangelisti. L’aquila simboleggia il sole sia nella mitologia asiatica che presso gli aztechi, i quali ritenevano che sia gli uomini caduti combattendo, che quelli sacrificati ritualmente, avessero la funzione di nutrire la Grande Aquila solare. Spesso viene contrapposta al serpente nel prefigurare la dialettica tra cielo e terra o tra volatile e fisso (nei Veda, nella mitologia azteca e maya e in alcuni testi alchemici). Gli sciamani dell’America e dell’Asia (in particolare quelli siberiani) hanno anche visto nell’aquila lo psicopompo che li guida nell’esplorazione dei mondi invisibili. In questo articolo ci interesseremo in modo particolare all’aquila in alchimia, con particolare riferimento alla fase dell’Opus cosiddetta delle “aquile”. Prima di occuparci direttamente della sublimazione e delle “aquile”, è necessario richiamare brevemente in quale momento dell’Opus alchemicum vada collocata questa fase e ciò che viene detto sul Vaso su cui si opera. Nell’Opus alchemicum, dopo l’importantissima fase della congiunzione degli amanti (del Sole e della Luna nel bagno alchemico, dello Zolfo e del Mercurio, del fisso e del volatile), c’è quella della loro putrefazione, cui fa seguito la nascita di un Bambino Filosofico che è “più vecchio dei suoi genitori”. Questo bambino deve, secondo gli alchimisti, essere continuamente nutrito con un alimento appropriato. Santinelli, ad esempio, sostiene che tale alimento deve consistere in un “debole mestruo” finché il bambino si trova ancora nel ventre materno, cioè nel Vaso Alchemico, e di “latte di Vergine” dal momento in cui viene alla luce uscendo dal Vaso. Accanto all’immagine del Bambino Filosofico, il germe che deve svilupparsi nell’Oscurità del Vaso, altre immagini ed allegorie costellano questa Fase dell’Opera e, tutte, alludono alla necessità di purificare la “Terra Filosofale” contenuta nel vaso, liberandola dall’Ombra e dalla Morte. Prima di indagare sulle operazioni necessarie per ottenere tale “depurazione”, soffermiamoci per un istante sulla natura del Vaso. Tutti i testi concordano sul fatto che il Vaso deve restare ermeticamente chiuso fino a quando la materia che contiene non sia stata completamente “lavata e sbiancata” e siano state “eliminate le fecce che la insozzano”. Chi non si curasse di prendere questa precauzione rischierebbe il fallimento dell’intera Opera, e il risultato sarebbe l’esplosione del Vaso e la conseguente proiezione violenta del suo contenuto sull’ambiente circostante. A proposito del Vaso, Santinelli così mette in guardia i suoi lettori: “Ma tu, o lettore, quando a tempo debito vorrai porre nel vaso la tua opera, cura che sia Sigillato il vaso dalla tua accortezza, in modo che possa trattenere al suo interno la virtù in tutto il suo vigore e non escano dal vaso quelle acque salutari e preziosissime: in questo infatti consiste il pericolo. Perciò unisci la tua opera a quella della natura, in modo che essa sia la tua maestra, ed osserva come essa con tale sigillo operi o non, ma abbi sempre in mente l’arcana della natura, sia ponendo nel vaso, sia sigillando nel vaso; infatti la conoscenza dell’una cosa, insegna l’ordine dell’altra. Se vuoi togliere il freddo alla casa accendi il fuoco, se vuoi trattenere in patria l’errabondo, circonda le mura di nemici; per non cadere, evadendo, nelle mani dei nemici, rimarrà in patria. Sii prudente“. Tre cose devono però essere note all’alchimista, dice ancora Santinelli, se egli vuole portare a termine con successo la sublimazione della materia prima e purificarla completamente: 1) il fuoco; 2) la Sostanza Secca; 3) il Vaso. Queste tre cose sono distinte ma anche inseparabili e se si vuole ottenere una di esse devono essere note anche le altre due. La Sostanza Secca (altrove presentata come acqua) deve aderire al vaso: “altrimenti non varrebbe a nulla il lavoro … Perché aderisca deve essere simile alla natura del Vaso“. Tale Vaso, ci dice Santinelli , “deve essere del vetro più puro estratto dalle ceneri con sagacissimo ingegno, vaso pulitissimo e della natura del fuoco“. Nel suo commento alle Visioni di Zosimo Jung riporta numerose citazioni tratte da testi alchemici, riguardanti l’arcano del Vaso. Riportiamo qui quelle per noi più significative. Dal Rosarium philosopharum: “Unus est lapis, una medicina, unum vas, unum regimen, unaque dispositio“. Dalle Allegoriae sapientum: “Anche la nostra pietra, ossia l’ampolla del fuoco, è creata dal fuoco“. Dalla Philosophia reformata di Mylius: “II vaso è la radice e il principio dell’arte nostra“. Da Eracleone: “Io sono un vaso più prezioso della creatura femminile che vi ha generato. Giacché, mentre vostra madre non conosce le proprie radici, io ho nozione di me stesso e conosco da dove provengo, e invoco la imperitura sapienza che è nel Padre, e che è madre della vostra madre; ella che non ha madre alcuna e neppure si accompagna ad alcun uomo“. Infine, ci ricorda Jung, Michael Mayer attribuisce a Maria l’Ebrea (una mitica sorella di Mosè) l’opinione che tutto il segreto stia nella conoscenza del vaso ermetico. Quest’ultimo sarebbe infatti divino e sarebbe celato agli uomini dalla sapienza del Signore. Jung riporta anche l’opinione di Dorneus, secondo il quale il vaso dovrebbe venir prodotto dalla quadratura del cerchio. Cerchiamo ora di indagare sull’operazione descritta dagli Alchimisti con il nome di Sublimazione, Purificazione, Lavaggio, Preparazione delle ceneri, Sbiancamento della Materia, Scremazione del Latte e che Trismosin nel “Toison d’or” descrive attraverso l’immagine delle lavandaie che fanno il bucato alla biancheria sporca e con l’impresa di Ercole consistente nel pulire le stalle di Augia deviando dal suo corso il fiume Alfeo. Secondo Santinelli l’alchimista deve elevare fino al cielo il Mercurio contenuto nel Vaso, “assieme ai suoi mestrui minerale e vegetale” perché questi mestrui lavino la terra intera e “per fabbricare il fulmine dello zolfo, il quale in un batter d’occhio penetri i corpi e riduca al nulla i loro escrementi”. Filalete invece in “L’entrata aperta al palazzo chiuso del Re” afferma che: “Qui la madre sigillata nel ventre del suo bambino si innalza e si purga, cosicché di fronte alla tanto grande purezza in cui è mantenuto il composto, la putrezione se ne allontana“. In Lambsprinck, nel commento all’ottava figura, ritroviamo invece un motivo comune alla maggior parte dei testi alchemici, quello cioè dei due principi opposti ed in lotta tra loro che devono essere fusi in un unico principio: la figura mostra due uccelli che si dilaniano a vicenda ed il commento dice: “I due uccelli, Corpo e Spirito, si divorano l’un l’altro, così deve essere“. Ritroviamo questa stessa contrapposizione agli albori dell’alchimia in Zosimo, il quale ha la seguente visione: “… Dicendo queste cose mi addormentai e vidi un sacrificatore in piedi davanti a me , sopra un altare a forma di Vaso. Per salire su questo altare c’erano quindici gradini. Il sacerdote vi si teneva in piedi ed io udii una voce dall’alto che mi diceva: “ho compiuto l’azione di discendere i quindici gradini camminando verso l’oscurità e l’azione di salire sui gradini andando verso la luce. È il sacrificatore che mi rinnova rispettando la natura pesante del corpo. Così, consacrato sacerdote per necessità, divengo uno spirito“. Più oltre Zosimo ha un’altra visione: “Vidi un altare a forma di Vaso; uno spirito igneo in piedi sull’altare presiedeva all’effervescenza al ribollire ed alla calcinazione degli uomini che si elevavano. Mi informai a proposito di quelle persone e dissi: “Vedo con stupore l’effervescenza ed il ribollire; come possono essere ancora vivi questi uomini in ignizione?” E, rispondendomi, egli mi disse: “Questa effervescenza che tu vedi è il luogo ove si esercita la macerazione. Gli uomini che vogliono ottenere la virtù entrano qui. Essi perdono i loro corpi e divengono spiriti … rigettando la pesantezza del corpo, divengono spiriti“. La dualità spirito-corpo ritorna spesso nei testi alchemici come opposizione tra il Fisso, assimilato al Corpo, ed il Volatile, caratteristica attribuita allo Spirito. La pietra degli alchimisti dovrà infine avere in sé entrambe queste due qualità: la stabilità e la solidità del corpo (l’apertura prematura del vaso associata alla fuga degli spiriti vitali dal compost che lasciano nelle mani dell’adepto solo la materia inerte e morta) e la vitalità e la luce che lo spirito porta con sé. Per ottenere questa fusione tra i due principi, l’alchimista deve, più e più volte, compiere due operazioni opposte: la discesa dello spirito, del volatile, nelle regioni più “basse” condizionate ed oscure del corpo e l’ascesa delle parti corporee verso la sommità del vaso, ove regnano i “vapori spirituali”. Albert Poisson così descrive questa fase: “La distillazione è talvolta scissa in due tempi o operazioni: 1) ascensione dei vapori o sublimazione, simbolizzata da un uccello che si eleva, la testa diretta verso l’alto della figura; 2) condensazione dei vapori in liquido: precipitato o discensione, simbolizzata da un uccello che scende, la testa diretta verso il basso della figura. Nel grande Rosario, un bambino che si slancia nell’aria uscendo dal sepolcro ove era racchiuso l’ermafrodito chimico, raffigura la sublimazione”. La lotta drammatica tra il Fisso ed il Volatile è spesso rappresentata come conflitto tra due animali simbolici, uno dotato di ali e l’altro no (due draghi, un leone alato ed un serpente, Aquila e serpente, aquila e leone.) Se l’esito del combattimento è quello sperato lo spirito viene “fissato” dal corpo ed il corpo purificato e sublimato dallo spirito. A questo proposito così si esprime il “Viridarium chemicum”: “Qui sul sarcofago giace il nostro corpo venerabile. Accanto gli è lo spirito, ma la Mente ritorna dall’asse. Fà che dapprima questa si diriga verso le eccelse plaghe dell’etere e di nuovo dal polo etereo voli verso le più basse regioni. Così congiungerà a sé le amiche forze del Cielo e della Terra e con la sua opera vivificherà il corpo“. Due principi dunque “abitano” il vaso alchemico e la lebbra che affligge la Materia Prima, più che identificarsi con il fisso o con il volatile, col corpo o con lo Spirito, risiede nella loro mancata integrazione, nella loro separazione. L’alchimista, quindi, non potendo rinunciare né all’uno né all’altro, deve riuscire ad amalgamare e fondere insieme Spirito e Corpo, realizzando la conciliatio oppositorum. Gli opposti devono prima lottare divorarsi ed uccidersi a vicenda perché la loro unione possa realizzarsi. Questa operazione ha, come si è visto, due aspetti, quello del costringere la terra corporea e pesante ad elevarsi verso le regioni dello Spirito e quello consistente nell’obbligare lo Spirito ad abbandonare i “cieli filosofici”, ove può spaziare liberamente, costringendolo a discendere nelle regioni più pesanti e condizionate dai vincoli terrestri perché possa vivificare rivitalizzare e “rendere consapevole” il corpo. Ognuno di noi conosce, nel corso della sua vita, periodi che si possono ascrivere all’una o all’altra fase di questo processo alchemico. È importante riconoscere che nessuna delle due fasi è scevra da pericoli e che la tentazione di “aprire il vaso” e porre fine alle terribili sofferenze dell’Opera che, secondo alcuni alchimisti, si manifestano con “un odore nauseabondo che, però, non si percepisce con il naso”, può farsi fortissima, sia quando si tratta di distaccarsi da tutto ciò che ci è caro liberandosi da ogni attaccamento materiale per poter ascendere verso regioni più elevate dell’essere, sia quando si viene costretti e delimitati e ci si sente soffocati persi e imprigionati dai legami e dai vincoli, dai problemi pratici della vita. D’altra parte senza la fase della “Discensione” nelle mani dell’alchimista non resterebbe che l’inutile astrattezza dei suoi buoni propositi, delle sue petizioni di principio e delle nozioni accumulate, ma la sua “materia prima” non subirebbe nessuna vera trasformazione. Secondo Filalete, questa fase di integrazione tra princìpi opposti prende il nome di “Regime di Giove” ed è contraddistinta dall’apparizione di tutti i colori dell Iride, man mano che l’Opera si avvia verso la purificazione della Materia, fino a che il colore bianco non domina incontrastato su ogni altro colore. Uno dei primi testi alchemici, redatto in ambienti gnostici nell’Egitto Alessandrino nei primi secoli dopo Cristo, noto come “Libro di Comarius, filosofo e gran sacerdote che insegna a Cleopatra l’arte divina e sacra della Pietra Filosofale”, già contiene questa associazione tra la sublimazione alchemica ed i colori dell’iride. Nel libro Ostane ed i suoi compagni si rivolgono a Cleopatra con queste parole: “In te è nascosto tutto il mistero strano e terribile. Rischiaraci diffondendo la tua luce a lungo sugli elementi. Dicci come il più alto discende verso il più basso e come il più basso salga verso il più alto …come le acque benedette discendano dall’alto per visitare i morti distesi, incatenati, schiacciati nelle tenebre e nell’ombra all’interno dell’Ade, come il rimedio vitale giunga loro e li risvegli traendoli dal loro sonno nel loro soggiorno particolare, come penetrino le acque nuove prodotte dall’inizio e durante il loro giacere e giunte per l’azione del fuoco. La nube le sostiene: si eleva dal mare sostenendo le acque” e Cleopatra così risponde loro: “Le acque giungendo risvegliano i corpi e gli spiriti imprigionati ed impotenti. In effetti, disse ella, essi di nuovo giaceranno e di nuovo saranno rinchiusi nell’Ade. Ma a poco a poco si sviluppano, si rialzano e si rivestono di colori vari e gloriosi, come i fiori a primavera e la stessa primavera è gioiosa e si rallegra della loro bellezza“. I vapori sprigionati dalla Materia Prima sottoposta all’azione del fuoco devono ascendere e precipitare varie volte nel vaso prima che l’opera di purificazione della materia possa dirsi conclusa. Le illustrazioni del “Mutus Liber” di Altus mostrano l’Alchimista e la sua Soror Mistica mentre preparano lo zolfo ed il Mercurio presentati con le immagini di un fiore e di una stella. Prima di entrare nel vaso sigillato, il fiore e la stella vengono accuratamente pesati e paragonati con una bilancia a due piatti, forse per controllare che i loro pesi siano eguali. Anche Fulcanelli, nelle “Dimore Filosofali”, parla dell’alternarsi di un fiore e di una stella durante l’Operazione di Sublimazione Alchemica: “Quando il mercurio giunge a bagnare lo zolfo non dissolto questo scompare ed appare la Stella, manifestazione esteriore del Sole interno. Lo zolfo (il fiore) ricompare poi alla decantazione, all’allontanamento della materia astrale. In sette riprese successive le nubi nascondono allo sguardo ora la stella ora il fiore a seconda delle fasi dell’operazione cosicché l’artista non può mai scorgere simultaneamente i due elementi del composto“. L’agitarsi della Materia durante le sublimazioni è talvolta accostato al cataclisma universale che precederà la fine del mondo o alle cataratte del Diluvio Universale. La colomba, che riporta a Noè il ramo d’ulivo il settimo giorno rappresenta allora la pace raggiunta tra i contrari. Dice Canseliet che ogni volta che la Colomba si invola lascia una parte di sé alla materia greve che contribuisce ad agitare. Alla fine il letto di piume che si viene a formare sarà il giaciglio di Re e Regina o… “il nido del pollo di Ermogene” , da dove risorgerà la fenice eterna. L’operazione della Sublimazione alchemica riceve talvolta il nome di “Aquile”. Fulcanelli così commenta l’origine di questa strana denominazione: “Lo Spirito non può abbandonare completamente il corpo, ma si riveste di un abito più consono alla sua natura, più obbediente alla sua volontà e fatto con le particelle nette e purificate che può raccogliere intorno a sé per servirsene come nuovo veicolo.” Tale separazione o sublimazione del corpo e manifestazione dello spirito deve ripetersi tante volte quante si riterrà necessario. Ogni ripetizione si dice “aquila”. Filalete afferma che la quinta aquila scioglie la Luna, ma che per ottenere lo splendore del Sole ne occorrono da sette a nove . La parola greca “αίγλη” significa “splendore, viva chiarezza, luce, torcia” e quindi far volare l’aquila equivale a far brillare la luce portandola alla superficie e sottraendola dal suo scuro rivestimento. Lo spirito, aggiunge Fulcanelli, è però in piccola proporzione rispetto al corpo e l’artista prudente deve far sì che ciò che è in fondo venga in superficie, se si vuol vedere la luce metallica interna irradiare all’esterno. Altrove lo stesso autore sostiene che alle Aquile si allude nell’inno a Delo di Callimaco: ” … I cigni girarono sette volte attorno a Delo e non avevano ancora cantato l’ottava volta che nacque Apollo” e nella processione che Giosuè fece fare, sette volte, attorno alle mura di Gerico prima della loro caduta. Secondo Filalete (op. cit.) le aquile sono una “pulitura del Mercurio” che risulta tanto più purgato “mediante l’aggiunta dello Zolfo che è il vero oro” quanto più numerose sono le Aquile. Sul finire delle “Aquile” si assiste alla nascita del Leone Rosso, generato dal sangue di quello Verde. Le Aquile devono prima divorare il Leone Verde e quanto minore è il loro numero, più aspra e lenta sarà la vittoria. Il loro numero ideale è sette o nove (ogni Aquila indicando una sublimazione del Mercurio dei Filosofi): “Mentre la luna è splendente nel suo plenilunio, fornita di ali l’Aquila volerà via lasciando dietro di sé le Colombe di Diana morte, se esse non fossero morte al primo incontro non potrebbero servire; ripeti questo sette volte, fino a che finalmente avrai raggiunto la quiete e ti resterà soltanto da fare la semplice decozione, che è cosa perfettamente tranquilla, gioco di fanciulli e lavoro di donne“. Tutti gli autori sono d’accordo nel sostenere che, al termine della Sublimazione, la materia assume un colore bianco splendente “simile a quello della Luna”. Zosimo raccomanda di “ripetere il lavaggio sette volte in un Vaso di Ascalonne, questo lavaggio è il primo imbiancamento e la sparizione della colorazione nera” e ci spiega che “l’imbiancamento consiste nell’atto di bruciare; ora bruciare è rivivificare con il fuoco, perché delle simili materie si rivivificano da se stesse, esse si fecondano da se stesse e generano così l’ animale cercato dai Filosofi“. Il modo migliore di concludere questo breve viaggio attraverso la Sublimazione Alchemica e le “Aquile” ci sembra quello di citare il seguente brano, tratto dal “Desiderio Desiderato” di Nicolas Flamel: “Prendi ciò che è precipitato in fondo al vaso, puliscilo bene al calore del fuoco, fino a farne sparire il colore nero e ad eliminarne la densità e la sporcizia. Fanne anche volatilizzare e dissolvere ogni aggiunta di umidità, finché il tutto diventi come Calce bianchissima, essendo scomparsa ogni macchia ed ogni scoria. Allora la Terra sarà pura e pronta a ricevere l’Anima. La Fecondazione, corroborando e confrontando ciò che è stato mutato, costituisce la promessa, dopo il Concepimento, di qualcosa dotato di più grande perfezione; e quel che è stato ben purgato, si congiungerà poi in una buona pace. Il Parto si verifica quando il Fermento dell’Anima si congiunge con il Corpo, cioè con il Corpo e la Terra resi bianchi, in modo che del tutto si faccia Uno, tanto nella Sostanza che nel Colore. Allora sarà nata e compiuta la nostra Pietra dalla perpetua vita“. |
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di Alessandro Orlandi | ||||||||