Apr 25 2016
L’Alchimia di Paracelso
Paracelso l’alchimista, lo iatrochimico, il mago. Così fu infatti chiamato questo personaggio rinascimentale che racchiude in sè, forse più di ogni altro, caratteristiche ed umori del suo tempo. L’esame comparato, della sua opera, spesso travisata, potrebbe costituire, a mio parere, un momento di riflessione culturale per tutti coloro che si avvicinano allo studio delle scienze e della filosofia. Nacque in una località vicina a Zurigo il 17 dicembre 1493 ed è noto col nome latino, Paracelsus, del quale si era fregiato, quasi a voler sintetizzare il suo vero nome: Philiph Theophrast Bombast von Hohenheim. Suo padre, Wilhelm, era medico e da lui apprese i primi rudimenti di quella che era nota anche col nome di Arte Regia, ovvero l’Alchimia. Era dotato di un carattere molto irrequieto che lo indusse sempre ad agire da dissacratore e bohèmien. Qualcuno addebitò questo suo modo d’essere alle influenze astrologiche del suo segno zodiacale, il sagittario. I suoi comportamenti non facilitavano il mantenimento di buoni rapporti con il prossimo. L’abate Lenglet du Fresnoy nella sua opera Histoire de la Philosophie Hermétique, così lo dipinge: “Mai uomo ebbe tanti nemici e fu tanto criticato, mai uomo ebbe tanti seguaci e fu tanto ammirato“. I suoi rapporti con i colleghi medici erano filtrati dagli appellativi con i quali si rivolgeva loro: “Teste di cavolo“, “Manipolatori di sudice droghe e di medicamenti da cavalli“. Egli era contrario alla fitoterapia, ovvero ai rimedi medicinali preparati con le piante, di contro, è il precursore della iatro-chimica, ovvero della chimica medica basata essenzialmente sulla distillazione e l’analisi dei minerali dai quali estraeva le sostanze che servivano a preparare i medicamenti. Questo suo interesse per i minerali è giustificato dall’aver seguito da vicino l’attività del padre che, reputato esperto in questioni minerarie, fu nominato insegnante di chimica nella Scuola delle Miniere. Ai tempi di Paracelso, la ricerca alchimistica, si snodava ancora, su tre principali filoni di ricerca: – Ricerca della pietra filosofale, ovvero la sostanza capace di trasmutare i metalli in oro; – Ricerca dell’alkahest, ovvero l’acido capace di sciogliere tutte le sostanze; – Ricerca dell’elixir di lunga vita, ovvero la medicina per guarire tutti i mali; Egli scelse il terzo livello di ricerca, quello che gli sembrò più utile e meno utopistico e lo concepì come fondato su quattro discipline o colonne fondamentali: filosofia (ovvero la conoscenza della natura intima e non visibile di ogni cosa), astrologia (l’arte di determinare l’effetto degli astri sulla salute del corpo), alchimia ed etica (virtù ed onesta del medico).
In un suo scritto, il Paragrano, così si esprimeva intorno all’arte di preparare i medicamenti: “Pensiamo ora al terzo fondamento su cui riposa la medicina: questo è l’alchimia. Se il medico non è particolarmente e sommamente attento e competente su questo punto, tutta la sua arte è inutile. Giacchè la natura è così sottile e sagace nelle sue cose che non vuol essere adoperata senza una grande arte; essa infatti non porta nulla alla luce che sia già di per se stesso compiuto, è l’uomo invece che deve portarlo a perfezione. Questo perfezionamento si chiama alchimia. Poiché l’alchimista è in ciò simile al fornaio che cuoce il pane, al vignaiuolo che fa il vino, al tessitore che fa il panno. Colui dunque che realizza in tutto quanto cresce nella natura a beneficio dell’uomo, la destinazione voluta della natura, è un alchimista“. Nel corso della sua carriera di iatrochimico, si recò in varie città sia italiane, che straniere, ove erano presenti scuole di medicina, tra le quali quella di Salerno, Padova, Bologna, Ferrara e Parigi. Ebbe modo di dimostrare la validità delle sue ricette alchimistiche che diedero soluzione ai malanni di personaggi quali Frobenius ed Erasmo da Rotterdam ed a seguito della fama che gli derivò, ebbe l’incarico di docente di medicina presso l’Università di Basilea, città dalla quale dovette, dopo qualche anno, allontanarsi di gran carriera a seguito di una polemica con un suo importante cliente ecclesiastico, il canonico Lichtenfels, che, una volta guarito, reputò eccessivo il compenso che aveva promesso. La storia finì in tribunale ove Paracelso, fedele al suo stile schietto e crudo, non tralasciò di dire anche ai giudici, cosa pensava di loro, della loro professione e della moralità delle loro madri. Ne derivò una sentenza a lui contraria, una denuncia per oltraggio e le conseguenze che possiamo ben immaginare. Paracelso dopo un periodo molto travagliato in cui peregrinò da una città all’altra, trovò ospitalità a Salisburgo presso l’arcivescovo Ernesto di Baviera, Principe Palatino nonché studioso di scienze occulte. Morì il 24 settembre 1541. L’opera di Paracelso si basa essenzialmente nell’aver applicato alchimia ed astrologia all’arte medica e di ciò testimonia, la costruzione di un’impianto teorico fondato sull’intuizione delle corrispondenze tra macrocosmo e microcosmo. Queste s’inquadravano nell’esistenza di un Universo costituito di una materia unica governata da tre principi alchimistici i quali, andavano inquadrati come una sorta d’ingredienti fondamentali, ovvero: Zolfo, Sale e Mercurio. Egli concepì anche l’Unità e la Trinità di Dio quale espressione dello stesso concetto mentre, i quattro elementi, Aria, Acqua, Terra e Fuoco rappresentavano concretamente i principi attivi che trovavano alimento in una forza generatrice universale che Paracelso chiamò “Archeus” che in lingua greca significa origine, principio.
La conseguenza di questa visione filosofica era che l’uomo e l’universo, essendo costituiti della stessa sostanza, venivano governati dalla medesima dinamica ed armonia. Nello scritto Philosophia de generationibus et fructibus quatuor elementorum, a tal proposito scrisse: “Dio ha formato il mondo in questo modo. In principio ha creato un corpo, dal quale derivano i quattro elementi. Egli ha posto questo corpo in tre parti, Mercurio, Sale, Zolfo, che sono tre cose ma formano un solo corpo. Queste tre parti producono tutto, così che in esse vi sono i quattro elementi. Queste tre cose hanno in sé ogni virtù e ogni volontà delle cose in divenire. Perciò in esse sono posti il giorno e la notte, il caldo e il freddo, pietre e frutti e altro, ma non ancora formati. Come un pezzo di legno non è altro che legno (ma ha in sé tutte le forme degli animali, tutte le forme del mutamento, tutte le forme degli strumenti …) , così questo primo corpo è posto in un blocco, nel quale riposano tutti i miscugli, tutte le acque, le gemme, i minerali, le pietre e il caos. Quest’ultimo è stato suddiviso dal Grande Creatore e posto come sottile, così che appena è stato suddiviso è stato posto come un altro essere. All’inizio Dio ha separato la luce e da ciò che era rimasto ha separato altre tre sostanze, il fuoco, la terra e l’acqua, da questi ha separato il fuoco, in modo che ne restassero due e così via sino alla fine“. Nella tradizione alchemica, l’opera paracelsiana si distingue per la posizione nella quale colloca l’uomo e sulla distinzione tra corpo fisico e corpo siderico-astrale, il primo, dominato dagli elementi acqua e terra, mentre il secondo dall’aria e dal fuoco o, meglio dire, dai loro principi attivi. Il corpo siderico-astrale era quello che consentiva all’uomo di stare in contatto con le ipotetiche correnti che, secondo Paracelso, pervadevano il cosmo e che egli considerava “l’intimo firmamento dell’individuo“. Egli ha, nel contempo, ipotizzato l’esistenza di un condizionamento reciproco tra i due corpi che possiamo inquadrare, a grandi linee, come la formulazione ante-litteram dei principi sui quali si baserà la medicina psicosomatica e l’intuizione di Jung circa la struttura archetipica della psiche. Paracelso fu un’acceso detrattore dell’opera di Galeno (130-200 d.C.) il quale aveva basato la sua medicina sulle conoscenze anatomiche e su una farmacologia dietetica che contrastava con la medicina minerale che guidava i suoi esperimenti. Di questa opposizione testimonia quanto Paracelso ebbe a scrivere: ” … il dottore illumina la materia perchè conosce la causa e con essa la maniera di digerire e preparare i medicamenti“. Egli ipotizzò, tra l’altro, una sorta di cosmogonia alchemica, ovvero un’universo ove i pianeti, erano in stretta coniugazione con gli organi del corpo umano e se ne facevano tutori nel bene e nel male. Al medico spettava il compito di fare da tramite tra il pianeta e l’organo per tentare il riequilibrio che avrebbe sconfitto lo stato patologico.
Nel Paragrano, una delle sue opere, così ebbe a scrivere: “Ciò che quindi appartiene al cervello, sarà condotto al cervello dalla Luna, quel che appartiene alla milza, sarà condotto alla milza da Saturno, quel che appartiene al cuore, sarà condotto al cuore dal Sole, e così i reni da Venere, il fegato da Giove, mentre sotto il dominio di Marte si troverà la bile. Così stanno le cose, non soltanto per questi organi, ma anche per tutti gli altri, infiniti a dirsi“. Ancora: ” … il medico deve depurare il suo sapere da complexiones (=attività) , humores (=umori) e qualitates (=qualità) e conoscere negli astri la potenza della medicina; vale a dire deve conoscere secondo gli astri la qualità specifica della medicina, rendendosi dunque conto che ci sono astri superiori e inferiori. E giacchè la medicina non può senza il cielo produrre effetto veruno, essa deve agire per tramite del cielo medesimo, salvo quello di portarle via la terra, poichè, non governando il cielo su di essa, occorre sia rescissa dalla medicina. Se tu dunque hai operato questa separazione, la medicina soggiacerà al volere degli astri, sarà dagli astri condotta e guidata“. “Il medico deve procedere partendo dalla natura: che altro è la natura se non la filosofia, e la filosofia che cos’altro se non la natura invisibile? … il medico deve portare in sé una chiara conoscenza dell’uomo, ricavata dallo specchio dei quattro elementi, giacché questi gli squadernano sotto gli occhi l’intero microcosmo, sì che egli vede attraverso di essi similmente a come si vede la gelatina che è chiusa in un bicchiere. … Convien che lo scruti con tale chiarezza di sguardo, quale è quella con cui si possono riconoscere, attraverso una fontana zampillante, le pietre e i granelli di sabbia che vi sono dentro, con tutti i loro colori, forme, eccetera; dunque devono essergli manifeste anche le singole membra dell’uomo. Queste membra devono essere per lui così trasparenti come un levigato cristallo in cui non potrebbe restar celata una pagliuzza. Questa è la filosofia che forma il fondamento della medicina. Non pertanto che tu debba conoscere l’uomo, bensì invece la natura che è stata creata nel cielo; e questa ti fa vedere ciò pezzo per pezzo, giacché l’uomo è fatto di questa natura. La stessa materia di cui egli è fatto, ti indica che cos’è ciò da cui è fatto, alla stessa guisa con cui tu vedi nel ferro una determinata struttura”. Del legame esistente tra chimica (alchimia) e medicina testimonia del resto, l’interesse che fu tributato da tanti medici i quali s’interessarono sotto vari aspetti dello studio di alcuni fenomeni posti a confine tra le due discipline. Tale Francesco Sylvius, tedesco, considerò il processo digestivo, alla stregua di un processo chimico che prevedeva l’elaborazione degli alimenti da parte della saliva, dei succhi gastrici e della bile, mentre Otto Tachenius, anch’egli medico tedesco, laureatosi a Padova nel 1644, nella sua opera Hippocrates chimicus, presenta un’abbozzo di analisi chimica ed i risultati di alcune determinazioni quantitative relative all’aumento in peso registrato esaminando il processo di calcinazione del piombo. Egli pensò che i sali, fossero il risultato di una reazione chimica tra un acido ed un alcale. Angelo Sala, medico vicentino, s’interessò dei processi fermentativi, dei sali di ammonio e degli ossalati. E’ noto, tra l’altro, per la preparazione, con metodi di sua invenzione, dell’acido solforico (H2SO4) e dell’acido fosforico (H3PO4). La visione della natura in Paracelso, come ha sottolineato lo storico Walter Pagel, è fortemente spiritualistica e pertanto ha contribuito solo limitatamente allo sviluppo della moderna chimica analitica, ovvero di una “chimica” basata sull’analisi delle sostanze e sulla comprensione dei rapporti tra elementi che tali sostanze formano. Tuttavia i tre principi, Zolfo, Sale e Mercurio, definiti da Paracelso con il termine “tria prima“, hanno svolto un ruolo importante nel determinare le innovazioni della chimica analitica e ciò si è verificato attraverso la lenta spoliazione di quanto di metafisico era, in essi, contenuto. Secondo Paracelso, i “tria prima” erano sostanze spirituali e quindi non sottoponibili ad un’analisi chimica concreta. Tuttavia, ad essi, Paracelso accredita la capacità di conferire alla materia le caratteristiche che essa assume quando si mostra sotto le sue molteplici sembianze (minerali, liquidi e gas). Il Sale è concepito come “Il Corpo”, lo Zolfo come “L’Anima” ed il Mercurio come “Lo Spirito” ed il ruolo che lo Zolfo gioca in questa struttura organizzata’ è quello di farsi mediatore tra Corpo e Spirito per dare luogo alle differenti sostanze. In concreto, la preponderanza del Sale in una sostanza, essendo questo dotato della corporeità, conferirebbe alla materia il carattere della solidità (di qui la formazione di corpi e sostanze solide) questo concetto può essere esteso al caso dello Zolfo e del Mercurio.
Nell’Opus Paramirum così scriveva : “Tre cose costituiscono la sostanza e forniscono a una cosa specifica il suo corpo, cioè ogni corpo particolare è in tre cose. I nomi di queste tre cose sono: Zolfo, Mercurio e Sale. Quando quest’ultimi sono posti insieme allora assumono il nome di Corpo, e vengono loro aggiunte la vita e le sue connessioni. Così quando hai in mano un Corpo, hai tre sostanze invisibili sotto una forma. Di queste tre sostanze si può dire soltanto che sono tre sostanze in una forma e che forniscono e costituiscono la salute“. Il quadro dell’alchimia paracelsiana, si complica alquanto quando egli riconosce che per comprendere ogni cosa, ovvero la natura di ogni cosa, bisogna procedere sistematicamente per conoscere il suo Zolfo, il suo Sale ed il suo Mercurio. Questa metodologia, consentirebbe la penetrazione dei misteri che hanno regolato la formazione dei “tria prima”. A proposito della separazione degli elementi così ebbe a scrivere nell’Archidoxis: ” ... Notate che gli elementi, mediante la separazione, risultano formalmente uguali agli elementi essenziali. L’aria appare come aria, e quest’aria non può essere racchiusa, come ritengono erroneamente alcuni, perché al momento della separazione si innalza, prorompe come il vento, ascende con l’acqua, con la terra e con il fuoco. Nell’aria vi è una meravigliosa forza di ascensione. La separazione dell’aria dall’elemento essenziale dall’acqua avviene mediante ebollizione. Quando inizia l’ebollizione, l’aria si separa dall’acqua, porta con sé la parte più leggera dell’acqua e via via che l’acqua diminuisce, anche l’aria diminuisce nella stessa proporzione. Si deve notare che nessun elemento può essere ottenuto senza aria, sebbene possa essere concepito senza aria. Non dobbiamo separare l’aria perché essa è negli altri tre elementi come la vita in un corpo. Quando la vita è separata dal corpo, tutte le cose periscono. … Parleremo più chiaramente delle separazioni … Qui devono essere considerati quattro metodi. Uno riguarda i corpi umidi, cioè le erbe che forniscono più acqua che qualsiasi altro elemento. L’altro metodo riguarda i corpi combustibili, cioè i legni, gli oli, le resine, le radici che contengono più fuoco di qualsiasi altra sostanza. Il terzo metodo riguarda i corpi terrosi, ovvero le pietre, i ciottoli e le terre. Il quarto riguarda ciò che è aeriforme: comprende tutte le specie prima menzionate perché l’aria è presente in tutte. E’ chiaro ora quali sono gli elementi e come devono essere separati. La prima separazione che incontriamo è la separazione degli elementi dai metalli. Negli elementi dei metalli vi sono virtù predestinate inesistenti negli altri elementi. … Si deve ora considerare il duplice metodo della separazione. Uno consiste nel separare gli elementi gli uni dagli altri: ciascun elemento viene separato mediante un particolare recipiente, senza distruggere le sue forze. L’altro metodo consiste nel separare purum ab impuro (il puro dall’impuro, ovvero un elemento dal composto in cui si trova) secondo queste modalità. Dopo aver separato gli elementi in una forma grossolana, si effettua un’altra separazione sugli elementi separati. Per comprendere pienamente la pratica della separazione si tenga presente che la quintessenza delle cose deve essere ottenuta, perché gli elementi ottenuti dai corpi possono essere dominati o abbandonati nella natura della quintessenza che tinge (pervade) più o meno gli elementi. Si deve comprendere che i quattro elementi non perdono le loro virtù quando l’elemento predestinato, cioè la quintessenza, è estratto. La quintessenza è elementare e può essere separata in relazione alla sua forma elementare e non riguardo alle diverse nature. Attraverso queste separazioni tutte le malattie elementari possono essere curate con semplicità“. Tra i detrattori di Paracelso e dell’alchimia possiamo citare, in particolare il grande Robert Boyle che nell’opera The sceptycal chimist (Il chimico scettico, Londra, 1661) ha tentato di demolire sia gli assunti della scienza aristotelica basati sulla teoria dei quattro elementi che le argomentazioni alchemiche. Egli è scettico nei confronti della scienza e della filosofia “ufficiale” che venivano coltivate nell’ambito delle “scuole” che reputava, in qualche maniera, corporative. Nella sua opera presenta una lunga serie di dati sperimentali che riguardano i componenti materiali dei corpi e su questi dati impernia una critica radicale nei confronti della dottrina aristotelica e di quella spagirica (spagirici erano chiamati i chimici). In particolare egli inquadra la dottrina alchimistica come una filosofia basata su assunti inattendibili che derivano da teorie frettolose ed oscure che consentono agli alchimisti di trincerarsi dietro frasari e terminologie occulte e misteriosofiche. E ciò al fine di coprire la reale ignoranza sui fenomeni chimici che si realizzano nei loro laboratori ed in natura.
A Boyle può essere accreditata l’introduzione del concetto di “elemento”, infatti nella sesta parte del Chimico Scettico, e precisamente nell’Appendice Paradossale, la critica ha intravisto la definizione che ha fatto riconoscere in Lui, il padre della chimica moderna e che qui di seguito riporto: “ … ora intendo per elementi quello che i chimici, che parlano in modo più chiaro, intendono per loro principi, cioè certi corpi primitivi e semplici, o perfettamente incomposti, che, non essendo costituiti di altre sostanze, né l’uno dell’altro, sono gli ingredienti di cui sono costituiti quei corpi chiamati perfettamente composti, e in cui in ultima analisi questi sono risolti. La cosa che pongo ora in discussione è se esista un qualche corpo che si riscontri costantemente in tutti e in ciascuno di quei corpi che sono detti composti di elementi”. La critica antiparacelsiana di Boyle può essere riassunta leggendo il seguente brano: “… Per acquistare a se stessi la reputazione di inventori si sforzavano di mascherarli chiamandoli invece di terra, fuoco e aria, sale, zolfo e mercurio, e a essi dettero il falso appellativo di principi ipostatici. Ma quando vennero a descriverli, mostrarono quanto poco avessero capito ciò che intendevano con quei nomi, perché si trovarono in disaccordo gli uni con gli altri come con la verità che insieme negavano. Infatti essi enunciarono le loro ipotesi nello stesso modo oscuro con cui espongono i loro procedimenti ed è quasi altrettanto impossibile, per una persona assennata, trovarne il significato che per loro trovare il loro elisir“. L’opera paracelsiana si compone di oltre ottanta opere e testimonia della grande elaborazione concettuale ed empirica che vide il Nostro tra i più attivi alchimisti dell’epoca. Egli visse in una condizione oscillante che lo qualifica uomo medievale e rinascimentale ad un tempo. E’ medievale nel manifestare una forte attenzione verso l’occulto, è rinascimentale quando propugna l’efficacia della terapia chimica e scruta il malato con occhio severo, ragionando e fondandosi sull’esperienza. Egli è alchimista, non a caso, infatti è proprio l’alchimia la sola arte reputata capace di far conseguire all’uomo, il massimo valore. La trasmutazione dei metalli, ovvero la loro nobilitazione che poteva far divenire, il piombo, oro, racchiudeva la vera trasmutazione, quella delle anime e dell’uomo che, per suo mezzo, si avvicina a Dio. Paracelso è la presenza tangibile di questa visione spiritualistica. |
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(articolo tratto da Helios Magazine) |
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