Ago 28 2021
Cappuccetto rosso, un rito iniziatico femminile
La fiaba di Cappuccetto Rosso, diffusa anticamente e in prevalenza nell’Europa centrosettentrionale e meridionale, è uno tra i racconti più famosi ed antichi che si conoscano, e la sua trama rivela profonde e segrete conoscenze iniziatiche primitive. La versione più comunemente diffusa, raccolta e rivisitata dai fratelli Grimm nel libro “Kinder -U. Hausmärchen” del 1812,è solo una tra le numerose versioni esistenti. La fiaba era già narrata nel XIV secolo in Francia e le tradizioni orali dei territori europei hanno divulgato molte trame diverse della stessa storia. Una versione assai diversa è raccontata da Charles Perrault ne I racconti di mamma Oca nel 1697, dove Cappuccetto Rosso viene fatta spogliare dal lupo travestito da nonna, e in seguito mangiata, senza il classico lieto fine. In un mito romagnolo riportato da Anselmo Calvetti nel libro “Antichi miti di Romagna. Folletti, spiriti delle acque e altre figure magiche nelle tradizioni romagnole” del 1987, la trama della fiaba è altrettanto diversa. Cappuccetto Rosso percorre, sola, la strada che porta alla casa della nonna. Quando esce dal sentiero, per fermarsi a cogliere dei fiori sotto agli alberi, viene apostrofata dal lupo che la convince a dividersi le frittelle e il vino che la madre le ha dato. In seguito la bestia giunge a casa della nonna, si fa aprire imitando la voce della bambina e inghiotte l’anziana. Quando arriva Cappuccetto Rosso il lupo, travestito con gli abiti della vecchia, serve alla bambina alcune pietanze preparate con parti del corpo della nonna. La giovane protagonista, ignara, accetta di mangiarle e non appena ha finito viene anch’essa divorata. Un cacciatore, che passeggiava nel bosco, entra nella casina vedendo la porta aperta e, trovato il lupo addormentato, sventra l’animale liberando così la bambina e la nonna 1.
Nelle cinque versioni della fiaba pubblicate dalla rivista “Mélusine”, il lupo induce la bambina ignara a mangiare parti del corpo della nonna e a berne il sangue, nonostante un uccello o un gatto cerchi di avvertirla dell’inganno che il lupo sta compiendo. Lo stesso episodio di involontario cannibalismo di Cappuccetto Rosso è anche presente in una versione che C. Schneller raccolse nel Trentino e pubblicò ad Innsbruck nel 1867. L’Orco, che svolge il ruolo del lupo, offre alla bambina riso, polpette, vino che sono in realtà denti, guance e sangue della nonna 2. In una versione romagnola raccolta dalla signora Angelina Testa nel 1974, e pubblicata dallo studioso e folclorista Anselmo Calvetti, Cappuccetto Rosso va nel bosco per fare visita alla nonna malata. Incontra poi il lupo che mangia la colazione destinata alla nonna. Il lupo precede la bambina presso la casa della nonna, divora la vecchia, ne indossa le vesti e si mette sotto le coltri del letto. Da questo punto, Anselmo Calvetti espone più dettagliatamente la versione della fiaba di Angelina Testa:
Arrivata alla casa della nonna, Cappuccetto Rosso racconta al lupo, che non riconosce sotto le vesti della nonna, quello che le è capitato nel bosco. Poi dice che la lunga camminata le ha fatto venire la fame.
“Se hai fame” dice il lupo “apri la madia e mangia due o tre tortellini che sono rimasti in un piattino”. Mentre Cappuccetto Rosso mangia, il lupo mormora: “Magna agli uréc dla tua nona! (Mangia le orecchie di tua nonna).” “Hai ancora fame? In un tegamino ci sono due o tre lasagne” e poi mormora “Magna al budél dla tua nona! (Mangia le budella della tua nonna).” “Hai ancora fame? In un tegamino sono rimasti due o tre manfettini” e mormora “Magna i dent dla tua nona! (Mangia i denti della tua nonna).” “Hai sete? Nell’angoliera c’è una bottiglietta di vino rosso.” “ Bev e sangh dla tua nona! (Bevi il sangue della tua nonna).” Dopo che Cappuccetto Rosso ha mangiato e bevuto, il lupo le dice: “Se sei stanca, vieni nel letto vicino a me.” “Nonna che peli lunghi hai!” – esclama la bambina – “Mi sono sciolta i capelli” – esclama il lupo. “Che piedi grandi hai!” – “Trop caminè (Troppo camminare).” – “Che mani grandi hai” – “Trop filé (Troppo filare).” – “Che orecchie grandi hai!” – “Trop ‘scutè (Troppo ascoltare).” – “Che occhi grandi hai!” – “Trop guardé (Troppo guardare).” – “Che naso grande hai!” – “Trop tabaché (Troppo fiutare il tabacco).” – “Che bocca grande hai!” – “Ham!” e in un sol boccone il lupo inghiotte la bambina. Un cacciatore, che passa vicino alla casa della nonna, trova la porta aperta e vede il lupo che russa disteso sul letto. Col coltello apre la pancia del lupo da cui escono Cappuccetto Rosso e la nonna, ancora vive. Il cacciatore accompagna la bambina fino al paese, dai suoi genitori, e le raccomanda di tenersi lontana dai pericoli del bosco 3.
Inoltre, tra le versioni più arcaiche della fiaba, vi è un altra trama, raccolta dallo stesso Anselmo Calvetti nel 1969 a Sant’Omero, in provincia di Teramo, dalla signora Maria Di Didomenicoantonio. Diversamente dalle altre versioni, Cappuccetto Rosso presta ascolto agli avvertimenti dei picerilli o picurilli (animaletti)e, con pretesti, rifiuta di mangiare la schiacciata, fatta con le budella della nonna, i denti che sono nella pagnotta, di bere il sangue nel boccale. Chiede al lupo il permesso di allontanarsi per fare i bisogni. Non fidandosi, il lupo lega la bambina con una corda e la cala nella stalla sottostante. Cappuccetto Rosso si scioglie dai lacci ai quali appende due caproni. Il lupo tira la corda e, sentendo il belato delle bestie, capisce che la bambina è fuggita 4.
Gli elementi della fiaba arcaica di Cappuccetto Rosso, come ad esempio la scelta di un percorso nel bosco, l’ignaro “pasto cannibalesco” della nonna e la mancata presenza del salvataggio ad opera del cacciatore, ci inducono a pensare – dello stesso parere fu anche Anselmo Calvetti – che molto probabilmente in origine l’intera narrazione, vista in luce simbolica e analogica, fosse un rito di iniziazione femminile preistorico, un rituale di passaggio per un nuovo membro nella comunità adulta. Durante il rito, un neofita incontrava il proprio animale totemico (il lupo) e la sua anima veniva ingoiata o fatta a pezzi dallo spirito dell’animale, venendo poi riportato in vita. Tale liturgia, che corrisponde ai riti di iniziazione giovanile, è praticata da sempre dalle attuali popolazioni primitive dell’Africa, dell’America e dell’Oceania e che, in epoca preistorica, dovettero essere praticati anche dalle comunità di cacciatori preistorici insediate in Europa.
Le favole, come osservava l’antropologo ed etnologo Giuseppe Cocchiara, rappresentano, assieme a tutta la poesia popolare, un vero e proprio documento etnografico. Nella favola sopravvivono tradizioni, usanze e credenze di origine molto antica, e che spesso sono scomparse come tradizioni e riti popolari veri e propri. Tra tutte le fiabe popolari, le cosiddette fiabe di magia, secondo la definizione e la struttura data dall’antropologo russo Vladimir Jakovlevič Propp nel libro “Le radici storiche dei racconti di fate”, sono caratterizzate dalla medesima impostazione, e sono utili in particolar modo per ricostruire lo svolgimento dei riti arcaici di iniziazione. Il bosco, che innumerevoli tradizioni culturali designano come luogo deputato all’iniziazione dei giovani, rappresenterebbe la scena di una complessa sequenza liturgica, la cui partecipazione avrebbe consentito al neofita, al quale era rigorosamente interdetto il contatto con i familiari, l’ingresso nel mondo sociale della tribù. Terminato il periodo di preparazione ed impartite al giovane utili istruzioni legate alla sopravvivenza, gli adulti della comunità si sarebbero cimentati nella costruzione di una capanna di frasche, spesso di forma animale, attraverso la cui stretta apertura avrebbero poi introdotto il neofita, dopo averlo sottoposto a incisioni dolorose nonché all’ingestione di sostanze inebrianti. Tale percorso, che terminava con la liberazione del soggetto dal simulacro, sarebbe servito per inscenare la morte e la rinascita di un membro della comunità, quale momento di transizione tra l’età dell’infanzia e quella della piena maturità 5. Solo entrando in comunione con lo spirito animale totemico del proprio clan (o individuale), il giovane veniva trasformato ed è in grado di diventare pienamente un membro adulto della comunità.
Cappuccetto Rosso, durante la narrazione della fiaba, si ferma più volte nel bosco e incontra spesso il lupo, il suo spirito alleato, il quale pretende un’offerta simbolica di cibo da parte della bambina (neofita) per portare a compimento il rituale iniziatico nella casa della nonna. Il lupo, travestito dalla nonna di Cappuccetto Rosso, rappresenta l’antico antenato da cui tutto il clan o la tribù discendono, incarnando le qualità e gli attributi divini presenti nel clan. Il lupo, nelle mitologie europee, è una animale sia distruttivo che fecondo. Attraverso la distruzione, il lupo provoca la metamorfosi e la trasformazione, e come animale psicopompo, guida le anime dei vivi e dei morti oltre la soglia, nel mondo degli spiriti. Nel mondo greco arcaico, esistevano rituali che prevedevano l’uso di maschere e implicavano una trasformazione dei partecipanti, che spesso comportavano una trasmutazione in animale oppure la personificazione di antenati o di divinità. Presso il santuario del Monte Liceo, in Arcadia, dedicato a Zeus Lykaios, si svolgevano rituali iniziatici dove veniva servita carne umana mescolata a quella di alcuni animali: coloro che avessero gustato questo cibo si credeva che si sarebbero trasformati in uomini-lupo (lykanthropoi). Liberatisi degli abiti, costoro attraversavano a nuoto uno stagno e vivevano per nove anni tra i monti, sotto le spoglie di lupi. Il decimo anno gli iniziati ripassavano lo stagno e ridiventavano uomini 6. Sempre in Antica Grecia, le iniziazioni femminili si svolgevano invece a Braudron presso il santuario dedicato alla dea Artemide, Signora della caccia e delle belve, dove le giovani imitando le movenze dell’orsa, animale sacro alla dea, si impadronivano dei suoi poteri e si identificavano con un aspetto della dea stessa. Le “orse di Brauron” si apprestavano ad accedere a pieno titolo nella polis in qualità di mogli e di madri 7.
Il più importante rito di iniziazione per ogni donna è quello del menarca, ovvero la prima mestruazione. E’ il momento in cui ogni ragazza diventa donna, l’inizio di un viaggio di iniziazione spirituale che culmina con la menopausa. Anticamente, questo sacro rito di importanza vitale veniva celebrato con una gran festa assieme a tutte le altre donne del clan, e si credeva che i sogni delle ragazze durante la prima mestruazione contenessero preziose indicazioni sul loro futuro. Il colore rosso e il sangue in Cappuccetto Rosso sono tra gli elementi più di spicco nel racconto ed indicano il passaggio da bambina a ragazza. Questi riti di iniziazione sono un elemento di continuità con antichissime cerimonie risalenti al periodo preistorico del Neolitico, dove ogni aspetto divino femminile e maschile apparteneva alla Grande Madre e le donne avevano un potere centrale come capo tribù e guida spirituale. Nella favola di Cappuccetto Rosso, il femminile è predominante e protagonista della storia, dove la bambina, la madre e la nonna, rappresentano simbolicamente i tre aspetti della Grande Madre: la Giovane, pura e rappresentazione del nuovo inizio, la Madre, generatrice della vita, disponibile e compassionevole, e la Vecchia Saggia, rappresentante gli antenati e il culmine della vita nella totale conoscenza ed esperienza. I tre aspetti della Grande Madre inoltre esprimono il concetto di nascita-vita-morte-rinascita presente in ogni ciclo naturale e cosmico, e in particolar modo nel ciclo lunare. Il ciclo femminile e il ciclo lunare sono intimamente connessi e il ritmo è il medesimo; nelle culture antiche la donna e la Luna danzavano in perfetta sincronia. Nella società arcaica matriarcale infatti, la donna era una sciamana, guerriera e capo-famiglia, e i riti femminili di passaggio venivano considerati con un occhio di riguardo e tenuti più in considerazione. E’ possibile dunque che la fiaba di Cappuccetto Rosso possa risalire al periodo di un “matriarcato” neolitico, dove il lupo era considerato un animale totemico iniziatico anche per il gruppo femminile e non unicamente per i neofiti maschi.
Nelle varie versioni della fiaba si nota che la bambina non ha un vero e proprio nome e viene invece chiamata con un appellativo che rimanda al suo cappuccio e al colore dello stesso. Il cappuccio rosso, elemento rintracciabile all’interno di numerose attestazioni tradizionali quale attributo caratteristico di figure magiche popolari, rappresenterebbe un’icona tipicamente associata ad esseri magici, la cui esistenza sta a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Inoltre Cappuccetto Rosso, che dà il nome alla fiaba e alla bambina protagonista, potrebbe essere un riferimento simbolico al fungo Amanita Muscaria, un fungo dotato di qualità psicotrope, usato come sostanza psicotropa all’interno del rituale di iniziazione, e con il quale la neofita veniva identificata. L’amanita muscaria, secondo gli studi di Wasson, veniva usato anticamente dalle popolazioni tribali europee come ingrediente magico di fondamentale importanza per causare profonde modificazioni dello stato di coscienza dell’iniziato. La maggiore concentrazione dei principi attivi che permettono questa cambio di stato di coscienza risiede proprio nel cappello rosso e bianco del fungo, chiamato anche “Cappuccio Rosso”. La bambina, vestendosi come il fungo, assume a livello magico gli stessi poteri e qualità dello spirito dell’Amanita Muscaria, e nutrendosi delle carni e del sangue della nonna, sua antenata e fungo anch’essa, permette l’accesso agli inferi interiori della neofita, guidata dallo spirito del lupo (animale totem). Se la bambina è infatti Cappuccetto Rosso, e se Cappuccetto Rosso sta per Agarico Muscario, allora la nonna è anch’essa un fungo di questa specie 8.
Questa ipotesi viene confermata da un altro racconto popolare raccolto da Alberto Borghini a Galliate (Novara) con una struttura molto simile alla versione ravennate della fiaba di Cappuccetto Rosso. In questa fiaba, una bambina di Galliate va a visitare la nonna portando con se delle frittelle preparate dalla madre. Durante il tragitto incomincia a mangiare le frittelle e quando si accorge di averle involontariamente finite, infila nella tovaglietta degli escrementi di mucca cercando di camuffarli con le briciole rimaste. La nonna assaggia il dolce e non appena ne assapora il gusto sgradevole decide di vendicarsi con la bambina. Il mattino seguente si reca a casa della piccola, la fa a pezzi mentre dorme e sparge per la stanza le varie parti del corpo. Quando la madre torna a casa e scopre cosa è successo si dispera e corre per strada urlando. Nel mentre un frate, che passava da quelle parti, ode il pianto disperato e, andato incontro alla madre, le dice che, con l’aiuto di un fungo, potrà salvare la bambina. Così il frate si mette alla ricerca del carpoforo (il “frutto” dei funghi) e dopo averlo trovato torna a casa dalla madre per cucinarlo. Ottiene in questo modo una specie di colla con cui ricompone le parti del corpo della piccola protagonista. A lavoro terminato la bambina riprende coscienza e sul suo corpo non appaiono cicatrici, fatta eccezione per un leggero segno attorno al collo 9. In questa versione novarese della fiaba, la bambina rappresenta sempre la neofita e la nonna svolge la funzione del lupo, l’officiante del rito. Il frate, figura legata alla sfera spirituale, sarebbe invece colui in grado di riportare in vita la protagonista attraverso un fungo psicoattivo, utilizzato come ingrediente magico nel rituale.
In conclusione, la fiaba di Cappuccetto Rosso nasconde nella sua trama un antichissimo rito, ormai perduto, di iniziazione sessuale femminile, nel quale ogni ragazza, diventando fertile, si trasforma in una donna e accede ai Misteri femminili con l’aiuto degli spiriti degli antenati e del clan.