Anno Magico

La Sublimazione Alchemica e le Aquile

L’aquila, considerata un animale solare da molte tradizioni, ha un particolare rilievo nella simbologia alchemica. Tratteremo qui della fase dell’Opus Alchemicum denominata “Le Aquile” e dell’ascesa e discesa dello spirito del mercurio nel vaso alchemico.

Messaggero di Zeus nella mitologia greca e di Vishnu, col nome di Garuda, in quella induista, nella mitologia asiatica e nordeuropea, l’aquila è l’unico animale che può fissare impunemente il sole.

Adottata più volte come emblema da potenze imperiali (ad esempio, dalla Persia achemenide, dalla Roma dei Cesari, dalla Francia di Napoleone e dall’America moderna) il re degli uccelli diviene nel Cristianesimo anche simbolo angelico e designa uno dei quattro evangelisti.

L’aquila simboleggia il sole sia nella mitologia asiatica che presso gli aztechi, i quali ritenevano che sia gli uomini caduti combattendo, che quelli sacrificati ritualmente, avessero la funzione di nutrire la Grande Aquila solare.

Spesso viene contrapposta al serpente nel prefigurare la dialettica tra cielo e terra o tra volatile e fisso (nei Veda, nella mitologia azteca e maya e in alcuni testi alchemici).

Gli sciamani dell’America e dell’Asia (in particolare quelli siberiani) hanno anche visto nell’aquila lo psicopompo che li guida nell’esplorazione dei mondi invisibili.

In questo articolo ci interesseremo in modo particolare all’aquila in alchimia, con particolare riferimento alla fase dell’Opus cosiddetta delle “aquile”.

Prima di occuparci direttamente della sublimazione e delle “aquile”, è necessario richiamare brevemente in quale momento dell’Opus alchemicum vada collocata questa fase e ciò che viene detto sul Vaso su cui si opera.

Nell’Opus alchemicum, dopo l’importantissima fase della congiunzione degli amanti (del Sole e della Luna nel bagno alchemico, dello Zolfo e del Mercurio, del fisso e del volatile), c’è quella della loro putrefazione, cui fa seguito la nascita di un Bambino Filosofico che è “più vecchio dei suoi genitori”.

Questo bambino deve, secondo gli alchimisti, essere continuamente nutrito con un alimento appropriato. Santinelli, ad esempio, sostiene che tale alimento deve consistere in un “debole mestruo” finché il bambino si trova ancora nel ventre materno, cioè nel Vaso Alchemico, e di “latte di Vergine” dal momento in cui viene alla luce uscendo dal Vaso.

Accanto all’immagine del Bambino Filosofico, il germe che deve svilupparsi nell’Oscurità del Vaso, altre immagini ed allegorie costellano questa Fase dell’Opera e, tutte, alludono alla necessità di purificare la “Terra Filosofale” contenuta nel vaso, liberandola dall’Ombra e dalla Morte.

Prima di indagare sulle operazioni necessarie per ottenere tale “depurazione”, soffermiamoci per un istante sulla natura del Vaso.

Tutti i testi concordano sul fatto che il Vaso deve restare ermeticamente chiuso fino a quando la materia che contiene non sia stata completamente “lavata e sbiancata” e siano state “eliminate le fecce che la insozzano”.

Chi non si curasse di prendere questa precauzione rischierebbe il fallimento dell’intera Opera, e il risultato sarebbe l’esplosione del Vaso e la conseguente proiezione violenta del suo contenuto sull’ambiente circostante.

A proposito del Vaso, Santinelli così mette in guardia i suoi lettori: “Ma tu, o lettore, quando a tempo debito vorrai porre nel vaso la tua opera, cura che sia Sigillato il vaso dalla tua accortezza, in modo che possa trattenere al suo interno la virtù in tutto il suo vigore e non escano dal vaso quelle acque salutari e preziosissime: in questo infatti consiste il pericolo. Perciò unisci la tua opera a quella della natura, in modo che essa sia la tua maestra, ed osserva come essa con tale sigillo operi o non, ma abbi sempre in mente l’arcana della natura, sia ponendo nel vaso, sia sigillando nel vaso; infatti la conoscenza dell’una cosa, insegna l’ordine dell’altra. Se vuoi togliere il freddo alla casa accendi il fuoco, se vuoi trattenere in patria l’errabondo, circonda le mura di nemici; per non cadere, evadendo, nelle mani dei nemici, rimarrà in patria. Sii prudente“.

Tre cose devono però essere note all’alchimista, dice ancora Santinelli, se egli vuole portare a termine con successo la sublimazione della materia prima e purificarla completamente: 1) il fuoco; 2) la Sostanza Secca; 3) il Vaso.

Queste tre cose sono distinte ma anche inseparabili e se si vuole ottenere una di esse devono essere note anche le altre due.

La Sostanza Secca (altrove presentata come acqua) deve aderire al vaso: “altrimenti non varrebbe a nulla il lavoro … Perché aderisca deve essere simile alla natura del Vaso“.

Tale Vaso, ci dice Santinelli , “deve essere del vetro più puro estratto dalle ceneri con sagacissimo ingegno, vaso pulitissimo e della natura del fuoco“.

Nel suo commento alle Visioni di Zosimo Jung riporta numerose citazioni tratte da testi alchemici, riguardanti l’arcano del Vaso. Riportiamo qui quelle per noi più significative.

Dal Rosarium philosopharum: “Unus est lapis, una medicina, unum vas, unum regimen, unaque dispositio“.

Dalle Allegoriae sapientum: “Anche la nostra pietra, ossia l’ampolla del fuoco, è creata dal fuoco“.

Dalla Philosophia reformata di Mylius: “II vaso è la radice e il principio dell’arte nostra“.

Da Eracleone: “Io sono un vaso più prezioso della creatura femminile che vi ha generato. Giacché, mentre vostra madre non conosce le proprie radici, io ho nozione di me stesso e conosco da dove provengo, e invoco la imperitura sapienza che è nel Padre, e che è madre della vostra madre; ella che non ha madre alcuna e neppure si accompagna ad alcun uomo“.

Infine, ci ricorda Jung, Michael Mayer attribuisce a Maria l’Ebrea (una mitica sorella di Mosè) l’opinione che tutto il segreto stia nella conoscenza del vaso ermetico.

Quest’ultimo sarebbe infatti divino e sarebbe celato agli uomini dalla sapienza del Signore. Jung riporta anche l’opinione di Dorneus, secondo il quale il vaso dovrebbe venir prodotto dalla quadratura del cerchio.

Cerchiamo ora di indagare sull’operazione descritta dagli Alchimisti con il nome di Sublimazione, Purificazione, Lavaggio, Preparazione delle ceneri, Sbiancamento della Materia, Scremazione del Latte e che Trismosin nel “Toison d’or” descrive attraverso l’immagine delle lavandaie che fanno il bucato alla biancheria sporca e con l’impresa di Ercole consistente nel pulire le stalle di Augia deviando dal suo corso il fiume Alfeo.

Secondo Santinelli l’alchimista deve elevare fino al cielo il Mercurio contenuto nel Vaso, “assieme ai suoi mestrui minerale e vegetale” perché questi mestrui lavino la terra intera e “per fabbricare il fulmine dello zolfo, il quale in un batter d’occhio penetri i corpi e riduca al nulla i loro escrementi”.

Filalete invece in “L’entrata aperta al palazzo chiuso del Re” afferma che: “Qui la madre sigillata nel ventre del suo bambino si innalza e si purga, cosicché di fronte alla tanto grande purezza in cui è mantenuto il composto, la putrezione se ne allontana“.

In Lambsprinck, nel commento all’ottava figura, ritroviamo invece un motivo comune alla maggior parte dei testi alchemici, quello cioè dei due principi opposti ed in lotta tra loro che devono essere fusi in un unico principio: la figura mostra due uccelli che si dilaniano a vicenda ed il commento dice: “I due uccelli, Corpo e Spirito, si divorano l’un l’altro, così deve essere“.

Ritroviamo questa stessa contrapposizione agli albori dell’alchimia in Zosimo, il quale ha la seguente visione: “… Dicendo queste cose mi addormentai e vidi un sacrificatore in piedi davanti a me , sopra un altare a forma di Vaso. Per salire su questo altare c’erano quindici gradini. Il sacerdote vi si teneva in piedi ed io udii una voce dall’alto che mi diceva: “ho compiuto l’azione di discendere i quindici gradini camminando verso l’oscurità e l’azione di salire sui gradini andando verso la luce. È il sacrificatore che mi rinnova rispettando la natura pesante del corpo. Così, consacrato sacerdote per necessità, divengo uno spirito“. Più oltre Zosimo ha un’altra visione: “Vidi un altare a forma di Vaso; uno spirito igneo in piedi sull’altare presiedeva all’effervescenza al ribollire ed alla calcinazione degli uomini che si elevavano. Mi informai a proposito di quelle persone e dissi: “Vedo con stupore l’effervescenza ed il ribollire; come possono essere ancora vivi questi uomini in ignizione?” E, rispondendomi, egli mi disse: “Questa effervescenza che tu vedi è il luogo ove si esercita la macerazione. Gli uomini che vogliono ottenere la virtù entrano qui. Essi perdono i loro corpi e divengono spiriti … rigettando la pesantezza del corpo, divengono spiriti“.

La dualità spirito-corpo ritorna spesso nei testi alchemici come opposizione tra il Fisso, assimilato al Corpo, ed il Volatile, caratteristica attribuita allo Spirito.

La pietra degli alchimisti dovrà infine avere in sé entrambe queste due qualità: la stabilità e la solidità del corpo (l’apertura prematura del vaso associata alla fuga degli spiriti vitali dal compost che lasciano nelle mani dell’adepto solo la materia inerte e morta) e la vitalità e la luce che lo spirito porta con sé.

Per ottenere questa fusione tra i due principi, l’alchimista deve, più e più volte, compiere due operazioni opposte: la discesa dello spirito, del volatile, nelle regioni più “basse” condizionate ed oscure del corpo e l’ascesa delle parti corporee verso la sommità del vaso, ove regnano i “vapori spirituali”.

Albert Poisson così descrive questa fase: “La distillazione è talvolta scissa in due tempi o operazioni:

1) ascensione dei vapori o sublimazione, simbolizzata da un uccello che si eleva, la testa diretta verso l’alto della figura;

2) condensazione dei vapori in liquido: precipitato o discensione, simbolizzata da un uccello che scende, la testa diretta verso il basso della figura. Nel grande Rosario, un bambino che si slancia nell’aria uscendo dal sepolcro ove era racchiuso l’ermafrodito chimico, raffigura la sublimazione”.

La lotta drammatica tra il Fisso ed il Volatile è spesso rappresentata come conflitto tra due animali simbolici, uno dotato di ali e l’altro no (due draghi, un leone alato ed un serpente, Aquila e serpente, aquila e leone.)

Se l’esito del combattimento è quello sperato lo spirito viene “fissato” dal corpo ed il corpo purificato e sublimato dallo spirito.

A questo proposito così si esprime il “Viridarium chemicum”: “Qui sul sarcofago giace il nostro corpo venerabile. Accanto gli è lo spirito, ma la Mente ritorna dall’asse. Fà che dapprima questa si diriga verso le eccelse plaghe dell’etere e di nuovo dal polo etereo voli verso le più basse regioni. Così congiungerà a sé le amiche forze del Cielo e della Terra e con la sua opera vivificherà il corpo“.

Due principi dunque “abitano” il vaso alchemico e la lebbra che affligge la Materia Prima, più che identificarsi con il fisso o con il volatile, col corpo o con lo Spirito, risiede nella loro mancata integrazione, nella loro separazione.

L’alchimista, quindi, non potendo rinunciare né all’uno né all’altro, deve riuscire ad amalgamare e fondere insieme Spirito e Corpo, realizzando la conciliatio oppositorum.

Gli opposti devono prima lottare divorarsi ed uccidersi a vicenda perché la loro unione possa realizzarsi.

Questa operazione ha, come si è visto, due aspetti, quello del costringere la terra corporea e pesante ad elevarsi verso le regioni dello Spirito e quello consistente nell’obbligare lo Spirito ad abbandonare i “cieli filosofici”, ove può spaziare liberamente, costringendolo a discendere nelle regioni più pesanti e condizionate dai vincoli terrestri perché possa vivificare rivitalizzare e “rendere consapevole” il corpo.

Ognuno di noi conosce, nel corso della sua vita, periodi che si possono ascrivere all’una o all’altra fase di questo processo alchemico.

È importante riconoscere che nessuna delle due fasi è scevra da pericoli e che la tentazione di “aprire il vaso” e porre fine alle terribili sofferenze dell’Opera che, secondo alcuni alchimisti, si manifestano con “un odore nauseabondo che, però, non si percepisce con il naso”, può farsi fortissima, sia quando si tratta di distaccarsi da tutto ciò che ci è caro liberandosi da ogni attaccamento materiale per poter ascendere verso regioni più elevate dell’essere, sia quando si viene costretti e delimitati e ci si sente soffocati persi e imprigionati dai legami e dai vincoli, dai problemi pratici della vita.

D’altra parte senza la fase della “Discensione” nelle mani dell’alchimista non resterebbe che l’inutile astrattezza dei suoi buoni propositi, delle sue petizioni di principio e delle nozioni accumulate, ma la sua “materia prima” non subirebbe nessuna vera trasformazione.

Secondo Filalete, questa fase di integrazione tra princìpi opposti prende il nome di “Regime di Giove” ed è contraddistinta dall’apparizione di tutti i colori dell Iride, man mano che l’Opera si avvia verso la purificazione della Materia, fino a che il colore bianco non domina incontrastato su ogni altro colore.

Uno dei primi testi alchemici, redatto in ambienti gnostici nell’Egitto Alessandrino nei primi secoli dopo Cristo, noto come “Libro di Comarius, filosofo e gran sacerdote che insegna a Cleopatra l’arte divina e sacra della Pietra Filosofale”, già contiene questa associazione tra la sublimazione alchemica ed i colori dell’iride.

Nel libro Ostane ed i suoi compagni si rivolgono a Cleopatra con queste parole: “In te è nascosto tutto il mistero strano e terribile. Rischiaraci diffondendo la tua luce a lungo sugli elementi. Dicci come il più alto discende verso il più basso e come il più basso salga verso il più alto …come le acque benedette discendano dall’alto per visitare i morti distesi, incatenati, schiacciati nelle tenebre e nell’ombra all’interno dell’Ade, come il rimedio vitale giunga loro e li risvegli traendoli dal loro sonno nel loro soggiorno particolare, come penetrino le acque nuove prodotte dall’inizio e durante il loro giacere e giunte per l’azione del fuoco. La nube le sostiene: si eleva dal mare sostenendo le acque” e Cleopatra così risponde loro: “Le acque giungendo risvegliano i corpi e gli spiriti imprigionati ed impotenti. In effetti, disse ella, essi di nuovo giaceranno e di nuovo saranno rinchiusi nell’Ade. Ma a poco a poco si sviluppano, si rialzano e si rivestono di colori vari e gloriosi, come i fiori a primavera e la stessa primavera è gioiosa e si rallegra della loro bellezza“.

I vapori sprigionati dalla Materia Prima sottoposta all’azione del fuoco devono ascendere e precipitare varie volte nel vaso prima che l’opera di purificazione della materia possa dirsi conclusa.

Le illustrazioni del “Mutus Liber” di Altus mostrano l’Alchimista e la sua Soror Mistica mentre preparano lo zolfo ed il Mercurio presentati con le immagini di un fiore e di una stella.

Prima di entrare nel vaso sigillato, il fiore e la stella vengono accuratamente pesati e paragonati con una bilancia a due piatti, forse per controllare che i loro pesi siano eguali.

Anche Fulcanelli, nelle “Dimore Filosofali”, parla dell’alternarsi di un fiore e di una stella durante l’Operazione di Sublimazione Alchemica: “Quando il mercurio giunge a bagnare lo zolfo non dissolto questo scompare ed appare la Stella, manifestazione esteriore del Sole interno. Lo zolfo (il fiore) ricompare poi alla decantazione, all’allontanamento della materia astrale. In sette riprese successive le nubi nascondono allo sguardo ora la stella ora il fiore a seconda delle fasi dell’operazione cosicché l’artista non può mai scorgere simultaneamente i due elementi del composto“.

L’agitarsi della Materia durante le sublimazioni è talvolta accostato al cataclisma universale che precederà la fine del mondo o alle cataratte del Diluvio Universale.

La colomba, che riporta a Noè il ramo d’ulivo il settimo giorno rappresenta allora la pace raggiunta tra i contrari.

Dice Canseliet che ogni volta che la Colomba si invola lascia una parte di sé alla materia greve che contribuisce ad agitare. Alla fine il letto di piume che si viene a formare sarà il giaciglio di Re e Regina o… “il nido del pollo di Ermogene” , da dove risorgerà la fenice eterna.

L’operazione della Sublimazione alchemica riceve talvolta il nome di “Aquile”. Fulcanelli così commenta l’origine di questa strana denominazione: “Lo Spirito non può abbandonare completamente il corpo, ma si riveste di un abito più consono alla sua natura, più obbediente alla sua volontà e fatto con le particelle nette e purificate che può raccogliere intorno a sé per servirsene come nuovo veicolo.”

Tale separazione o sublimazione del corpo e manifestazione dello spirito deve ripetersi tante volte quante si riterrà necessario. Ogni ripetizione si dice “aquila”.

Filalete afferma che la quinta aquila scioglie la Luna, ma che per ottenere lo splendore del Sole ne occorrono da sette a nove .

La parola greca “αίγλη” significa “splendore, viva chiarezza, luce, torcia” e quindi far volare l’aquila equivale a far brillare la luce portandola alla superficie e sottraendola dal suo scuro rivestimento.

Lo spirito, aggiunge Fulcanelli, è però in piccola proporzione rispetto al corpo e l’artista prudente deve far sì che ciò che è in fondo venga in superficie, se si vuol vedere la luce metallica interna irradiare all’esterno.

Altrove lo stesso autore sostiene che alle Aquile si allude nell’inno a Delo di Callimaco: ” … I cigni girarono sette volte attorno a Delo e non avevano ancora cantato l’ottava volta che nacque Apollo” e nella processione che Giosuè fece fare, sette volte, attorno alle mura di Gerico prima della loro caduta.

Secondo Filalete (op. cit.) le aquile sono una “pulitura del Mercurio” che risulta tanto più purgato “mediante l’aggiunta dello Zolfo che è il vero oro” quanto più numerose sono le Aquile.

Sul finire delle “Aquile” si assiste alla nascita del Leone Rosso, generato dal sangue di quello Verde.

Le Aquile devono prima divorare il Leone Verde e quanto minore è il loro numero, più aspra e lenta sarà la vittoria.

Il loro numero ideale è sette o nove (ogni Aquila indicando una sublimazione del Mercurio dei Filosofi):

Mentre la luna è splendente nel suo plenilunio, fornita di ali l’Aquila volerà via lasciando dietro di sé le Colombe di Diana morte, se esse non fossero morte al primo incontro non potrebbero servire; ripeti questo sette volte, fino a che finalmente avrai raggiunto la quiete e ti resterà soltanto da fare la semplice decozione, che è cosa perfettamente tranquilla, gioco di fanciulli e lavoro di donne“.

Tutti gli autori sono d’accordo nel sostenere che, al termine della Sublimazione, la materia assume un colore bianco splendente “simile a quello della Luna”.

Zosimo raccomanda di “ripetere il lavaggio sette volte in un Vaso di Ascalonne, questo lavaggio è il primo imbiancamento e la sparizione della colorazione nera” e ci spiega che “l’imbiancamento consiste nell’atto di bruciare; ora bruciare è rivivificare con il fuoco, perché delle simili materie si rivivificano da se stesse, esse si fecondano da se stesse e generano così l’ animale cercato dai Filosofi“.

Il modo migliore di concludere questo breve viaggio attraverso la Sublimazione Alchemica e le “Aquile” ci sembra quello di citare il seguente brano, tratto dal “Desiderio Desiderato” di Nicolas Flamel: “Prendi ciò che è precipitato in fondo al vaso, puliscilo bene al calore del fuoco, fino a farne sparire il colore nero e ad eliminarne la densità e la sporcizia. Fanne anche volatilizzare e dissolvere ogni aggiunta di umidità, finché il tutto diventi come Calce bianchissima, essendo scomparsa ogni macchia ed ogni scoria. Allora la Terra sarà pura e pronta a ricevere l’Anima. La Fecondazione, corroborando e confrontando ciò che è stato mutato, costituisce la promessa, dopo il Concepimento, di qualcosa dotato di più grande perfezione; e quel che è stato ben purgato, si congiungerà poi in una buona pace. Il Parto si verifica quando il Fermento dell’Anima si congiunge con il Corpo, cioè con il Corpo e la Terra resi bianchi, in modo che del tutto si faccia Uno, tanto nella Sostanza che nel Colore. Allora sarà nata e compiuta la nostra Pietra dalla perpetua vita“.

di Alessandro Orlandi

Il Verbo e il Simbolo

L’uomo, simbolo dell’universo

Abbiamo già avuto occasione di parlare dell’importanza della forma simbolica nella trasmissione degli insegnamenti dottrinali d’ordine tradizionale.

Ritorniamo su questo argomento per apportare qualche precisazione complementare e mostrare ancor più esplicitamente i diversi punti di vista sotto i quali può essere considerato.

Anzitutto, il simbolismo ci appare adatto in modo speciale alle esigenze della natura umana, che non è una natura puramente intellettuale, ma ha bisogno d’una base sensibile per elevarsi verso le sfere superiori.

Occorre prendere il composto umano qual esso è, uno e molteplice al tempo stesso nella sua complessità reale; troppo spesso si ha la tendenza a dimenticarlo, da quando Descartes ha preteso di stabilire fra l’anima e il corpo una separazione radicale e assoluta.

Per una pura intelligenza, sicuramente, nessuna forma esteriore, nessuna espressione è richiesta per comprendere la verità, e neppure per comunicare ad altre pure intelligenze ciò che essa ha compreso nella misura in cui è comunicabile; ma non è così per l’uomo.

In fondo, ogni espressione, ogni formulazione, qualunque essa sia, è un simbolo del pensiero che essa traduce esteriormente; in questo senso, il linguaggio stesso non è altro che un simbolismo.

Non vi deve dunque essere opposizione tra l’impiego delle parole e quello dei simboli figurativi; questi due modi d’espressione sarebbero piuttosto complementari l’uno all’altro (e del resto, di fatto,essi possono combinarsi, giacché la scrittura è originariamente ideografica e in certi casi, come in Cina, ha sempre conservato questo carattere).

In generale, la forma del linguaggio è analitica, ‘discorsiva’ come la ragione umana di cui esso è lo strumento proprio e di cui segue o riproduce il cammino con la massima esattezza possibile; al contrario, il simbolismo propriamente detto è essenzialmente sintetico, e per ciò stesso ‘intuitivo’ in qualche maniera, il che lo rende più idoneo del linguaggio a servire da base all” ‘intuizione intellettuale’, che è al di sopra della ragione, e che occorre star bene attenti a non confondere con quella intuizione inferiore alla quale si appellano diversi filosofi contemporanei.

Di conseguenza, se non ci si accontenta di constatare una differenza e si vuol parlare di superiorità, questa andrà attribuita, checché pretendano alcuni, al simbolismo sintetico, che apre possibilità di concezione veramente illimitate, mentre il linguaggio, caratterizzato da significati più definiti e più fermi, pone sempre alla comprensione limiti più o meno stretti.

Non si venga dunque a dire che la forma simbolica è buona solo per il volgo; sarebbe piuttosto vero il contrario; o, meglio ancora, essa è ugualmente buona per tutti, poiché aiuta ciascuno a comprendere più o meno completamente, più o meno profondamente la verità che rappresenta, secondo la misura delle proprie possibilità intellettuali.

Così, le verità più alte, che non sarebbero in alcun modo comunicabili o trasmissibili con qualsiasi altro mezzo, lo divengono fino a un certo punto quando sono, se così si può dire, incorporate in simboli i quali le dissimuleranno senza dubbio a molti, ma le manifesteranno in tutto il loro splendore agli occhi di coloro che sanno vedere.

Il Pentalfa pitagorico

Dovremo dire che l’uso del simbolismo è una necessità?

Qui bisogna fare una distinzione: in sé e in modo assoluto, nessuna forma esteriore è necessaria; tutte sono ugualmente contingenti e accidentali in rapporto a ciò che esse esprimono o rappresentano.

È così che, secondo l’insegnamento degli Indù, una figura qualunque, per esempio una statua simboleggiante questo o quell’ aspetto della Divinità, non deve essere considerata che come un ‘supporto’, un punto d’appoggio per la meditazione;è dunque un semplice ‘coadiuvante’, e niente più.

Un testo vedico fornisce al riguardo un paragone che illumina perfettamente questo ruolo dei simboli e delle forme esteriori in genere: sono come il cavallo che permette a un uomo di compiere un viaggio più rapidamente e con assai minor fatica che se dovesse farlo con i propri mezzi.

Certo, se quest’uomo non avesse cavalli a sua disposizione, potrebbe malgrado tutto giungere alla sua meta, ma con quanta maggior difficoltà!

Se può servirsi d’un cavallo, avrebbe davvero torto a rifiutarsi di farlo col pretesto che è più degno di lui non ricorrere ad alcun aiuto; e non è proprio così che agiscono i detrattori del simbolismo?

E inoltre se il viaggio è lungo e faticoso, benché non vi sia mai un’impossibilità assoluta di farlo a piedi, può ugualmente esserci una vera e propria impossibilità pratica di venirne a capo.

Così è dei riti e dei simboli: essi non sono necessari di una necessità assoluta, ma lo sono in certo modo di una necessità di convenienza, tenendo presenti le condizioni della natura umana.

Ma non basta considerare il simbolismo dal lato umano comea bbiamo fatto sin qui; conviene, per penetrarne tutta la portata, esaminarlo anche dal lato divino, se è lecito esprimersi così.

Già se si constata che il simbolismo trova il suo fondamento nella natura stessa degli esseri e delle cose, che esso è in perfetta conformità con le leggi di questa natura, e se si riflette che le leggi naturali non sono, in fondo, che un’espressione e come un’esteriorizzazione della Volontà divina, tutto ciò non autorizza forse ad affermare che il simbolismo è di origine «non umana», come dicono gli Indù, o, in altri termini, che il suo principio risale più lontano e più in alto dell’umanità?

Labirinto, simbolo del percorso iniziatico

Non senza ragione si sono potute richiamare, a proposito di simbolismo, le prime parole del Vangelo di san Giovanni « In principio era il Verbo ».

Il Verbo, il Logos, è a un tempo Pensiero e Parola: in sé, è l’Intelletto divino, che è il ‘luogo dei possibili’; in rapporto a noi, si manifesta e si esprime per mezzo della Creazione, in cui si realizzano nell’esistenza attuale alcuni di questi stessi possibili che, in quanto essenze, sono contenuti in Lui da tutta l’eternità.

La Creazione è l’opera del Verbo; essa è anche, e proprio per questo, la sua manifestazione, la sua affermazione esteriore; ed è per ciò che il mondo è come un linguaggio divino per coloro che sanno comprenderlo: Caelie narrant gloriam Dei(Salmi,xix, 2).

Il filosofo Berkeley non aveva dunque torto quando diceva che il mondo è «il linguaggio che lo Spirito infinito parla agli spiriti finiti» ; ma aveva torto a credere che tale linguaggio sia solo un insieme di segni arbitrari, mentre in realtà non c’è niente di arbitrario neppure nel linguaggio umano, dovendo ogni significazione avere all’origine il suo fondamento in qualche convenienza o armonia naturale fra il segno e la cosa significata.

Appunto perché Adamo aveva ricevuto da Dio la conoscenza della natura di tutti gli esseri viventi, egli potè nominarli (Genesi,n, 19-20); e tutte le tradizioni antiche concordano nell’insegnare che il vero nome di un essere non è che una sola cosa con la sua natura o la sua stessa essenza.

Se il Verbo è Pensiero all’interno e Parola all’esterno, e se il mondo è l’effetto della Parola divina proferita all’origine dei tempi, la natura stessa può esser presa come simbolo della realtà soprannaturale.

Tutto ciò che è, sotto qualsiasi modalità si trovi, avendo il suo principio nell’Intelletto divino, traduce o rappresenta questo principio secondo la sua maniera e secondo il suo ordine d’esistenza; e, così, da un ordine all’altro, tutte le cose si concatenano e si corrispondono per concorrere all’armonia universale e totale, che è come un riflesso dell’Unità divina stessa.

Tale corrispondenza è il vero fondamento del simbolismo ed è per ciò che le leggi di un àmbito inferiore possono sempre esser prese per simboleggiare le realtà d’un ordine superiore, ove esse hanno la loro ragione profonda, che è nello stesso tempo il loro principio e la loro fine.

Segnaliamo in questa occasione l’errore delle moderne interpretazioni ‘naturalistiche’ delle antiche dottrine tradizionali, interpretazioni che semplicemente rovesciano la gerarchia dei rapporti fra i diversi ordini di realtà : ad esempio,i simboli o i miti non hanno mai avuto il compito di rappresentare il movimento degli astri, ma la verità è che vi si trovano spesso delle figure ispirate a esso e destinate a esprimere analogicamente tutt’altra cosa, poiché le leggi di tale movimento traducono fisicamente i princìpi metafisici da cui dipendono.

L’inferiore può simboleggiare il superiore, ma l’inverso è impossibile; d’altronde, se il simbolo non fosse più prossimo all’ordine sensibile di ciò che rappresenta, in che modo potrebbe svolgere la funzione alla quale è destinato?

Nella natura, il sensibile può simboleggiare il soprasensibile; l’intero ordine naturale può, a sua volta, essere un simbolo dell’ordine divino; e, d’altra parte, se si considera più particolarmente l’uomo, non è legittimo dire che egli stesso è un simbolo per il fatto che è «creato a immagine di Dio» (Genesi, i, 26-27)?

Simbolo del Sacro Cuore

Aggiungiamo ancora che la natura acquista tutto il suo significato solo quando si considera che essa fornisca un mezzo per elevarsi alla conoscenza delle verità divine, che è precisamente anche il compito essenziale che abbiamo riconosciuto al simbolismo.

Queste considerazioni potrebbero essere sviluppate quasi indefinitamente; ma preferiamo lasciare a ciascuno la cura di farlo con uno sforzo di riflessione personale, poiché nulla potrebbe esser più proficuo; come i simboli che ne sono l’argomento, queste note devono soltanto essere un punto di partenza per la meditazione.

Le parole, d’altronde, possono rendere solo assai imperfettamente ciò di cui trattiamo; non dimeno, c’è ancora un aspetto della questione, e non dei meno importanti, che cercheremo di far comprendere o almeno intuire dando una breve indicazione.

Il Verbo divino si esprime nella Creazione, dicevamo, e questo è paragonabile, analogicamente e fatte le dovute proporzioni, al pensiero che si esprime nelle forme (non c’è più motivo quidi fare una distinzione fra il linguaggio e i simboli propriamente detti) che lo velano e lo manifestano a un tempo.

La Rivelazione primordiale, opera del Verbo come la Creazione, s’incorpora, percosì dire, anch’essa nei simboli che si sono trasmessi di epoca in epoca a partire dalle origini dell’umanità; e tale processo è ancora una volta analogo, nel suo ordine, a quello della Creazione stessa.

D’altra parte, non si può vedere, in questa incorporazione simbolica della tradizione ‘non umana’, una sorta d’immagine anticipata, di ‘prefigurazione’ dell’Incarnazione del Verbo?

E questo non permette anche di percepire, in una certa misura, il misterioso rapporto esistente fra la Creazione e l’Incarnazione che ne è il coronamento?

Termineremo con un’ultima osservazione relativa all’importanza del simbolo universale del Cuore e più particolarmente della forma che esso riveste nella tradizione cristiana, quella del Sacro Cuore.

Se il simbolismo è nella sua essenza strettamente conforme al ‘piano divino’, e se il Sacro Cuore è il centro dell’essere, realmente e simbolicamente insieme, questo simbolo del Cuore, in se stesso o nei suoi equivalenti, deve occupare in tutte le dottrine derivate più o meno direttamente dalla tradizione primordiale, un posto propriamente centrale.

 

Renè Guenon

Il Vaso Alchemico come Simbolo dell’Anima

In quanto studiosi della tradizione ermetica, tutti noi riconosciamo che l’opera alchemica si sviluppa su numerosi livelli: il lavoro fisico sulle sostanze, l’esperienza e la manipolazione delle forze eteriche, il lavoro interiore sull’anima, al pari degli aspetti cosmologico-planetari.

Questi differenti aspetti dell’opera si interconnettono e si sovrappongono l’uno con l’altro.

In effetti, in un certo senso, se vogliamo fare qualche progresso nel lavoro alchemico, dobbiamo necessariamente perseguire parallelamente questi differenti obiettivi, affiancando lo sviluppo interiore al lavoro esteriore.

Un simbolo che si ricollega a questa molteplicità di aspetti dell’opera è quello del vaso alchemico.

Nigredo, Albedo, Rubedo

In questo articolo desidero sottolineare alcuni modi con cui possiamo usare questo simbolo per i nostri esercizi interiori.

La tradizione dello sviluppo interiore in alchimia, si persegue trasponendo le trasformazioni ed i procedimenti alchemici sul piano interiore.

Come in ogni pratica esoterica, l’interiorizzazione dell’esperienza può produrre squilibri nelle potenti energie psichiche che noi evochiamo durante il lavoro interiore, a meno che non troviamo dei mezzi per contenere queste energie.

Nella tradizione dei rituali magico-cerimoniali, gli operatori usano normalmente una apertura ed una chiusura del rituale che funge da struttura di contenimento e salvaguarda dalla dissipazione le energie suscitate durante il lavoro.

Similmente, in molte tradizioni meditative, un esercizio di apertura ed uno di chiusura (talvolta basati sulla ritmizzazione della respirazione) aiutano a riconnettere e riancorare il meditante con il normale stato di coscienza, così da non lasciarlo in uno stato di dissociazione ed instabilità, sospeso tra il mondo interiore e quello esteriore.

Nel nostro lavoro interiore, troveremo nel simbolo del vaso un inestimabile mezzo per contenere le energie interiori e permettere loro di operare nella nostra interiorità, in modo controllato e positivo.

Così, in un certo senso, il vaso alchemico può essere un simbolo interiore dalla valenza protettiva, proprio come il cerchio del cerimoniale magico o il tempio astrale di una loggia esoterica operativa, o gli esercizi di respirazione di una tradizione meditativa.

Le energie evocate lavorando con i processi alchemici, come ho detto, possono essere potenti e distruttive per la psiche ed un incontro diretto con queste energie trasformative non dovrebbe avvenire in modo improvviso.

Solo attraverso il lungo e ripetuto lavoro interiore possiamo arrivare alla diretta esperienza di queste energie nella loro forma più originaria e fondamentale.

Il Vaso Alchemico

L’incontro iniziale è in genere effimero e soffocato da correnti emotive.

Solo se avremo la pazienza degli alchimisti di ripetere instancabilmente l’esperienza spirituale, covando sul nostro alambicco interiore, riusciremo a intravedere sia pure un barlume del vero fine della trasmutazione alchemica.

E’ dunque di somma importanza soffermarci sulla natura del vaso alchemico al fine di avere qualche indicazione sull’uso di questo simbolo nel nostro lavoro interiore.

Prima di tutto dovremo considerare i simboli come schemi di energia.

In senso exoterico le cose stanno esattamente così, essendo ovvio che ogni manifestazione simbolica prenda forma nella nostra coscienza mentale come una manifestazione di natura elettro-chimica all’interno della rete neuronica del nostro cervello.

Tuttavia, su di un piano più profondo ed esoterico, un simbolo è lo schema delle energie eteriche sottese alla sua manifestazione in varie forme.

Quando meditiamo su di un simbolo noi lo troveremo necessariamente mutevole nelle forme; ciò ci consentirà di intuire che la vera natura del simbolo è riposta nel suo schema energetico.

Vi sono molte differenti forme di vaso descritte e disegnate nella letteratura e nella tradizione iconografica dell’alchimia.

Esiste un’apparente molteplicità di forme di storte, pellicani, bagnomaria, alambicchi, cucurbite etc..

Tuttavia, nel lavoro interiore noi troveremo che tutte queste differenti forme esteriori si riducono a tre forme archetipali, che possiamo identificare nel CROGIOLO, nella STORTA e nell’ALAMBICCO.

Crogiolo

Il crogiolo è essenzialmente un vaso aperto, una tazza, un mortaio o un calderone aperto all’esterno ma capace di contenere della materia.

Le sostanze e gli schemi energetici possono essere messi nel crogiolo ed essere trattati con diversi agenti, ed alcune parti di queste sostanze possono anche essere eliminate o rimosse al fine di dare il via a un processo di purificazione.

Tale procedimento è spesso descritto come ottenibile attraverso la somministrazione del calore.

In altri termini, un minerale viene messo nel crogiolo, che viene poi scaldato, il metallo si separa dal minerale e varie impurità vengono disperse nell’aria, oppure le scorie solide si separano dalla superficie del metallo fuso. In questo modo la materia prima, il minerale, viene trasformato nel metallo puro.

Comunque, la caratteristica essenziale di questo tipo di vaso e delle operazioni interiori ad esso correlate è la sua apertura. Una trasformazione vi può avvenire perché certe energie o impurità vengono lasciate libere di separarsi e dissiparsi.

La cottura non è essenziale in questo particolare processo alchemico. L’azione di un sale coniugato ad un acido per produrre una effervescenza o per produrre un gas, è un altro esempio esteriore di questo processo, come anche la lenta precipitazione o cristallizzazione di un solido in una soluzione.

Quando interiorizziamo il crogiolo nella nostra anima, immaginiamo dentro di noi un vaso aperto, che permette di filtrare le impurità e ogni altro aspetto indesiderato del lavoro, così come di accogliere sostanze e forze provenienti dall’universo spirituale.

In questo senso, il crogiolo interiore è un calice, la cui parte inferiore contiene e custodisce una sostanza o una costellazione di forze, mentre la parte alta rimane aperta alle influenze spirituali universali.

Realizzazione dell’oro alchemico

Le energie indesiderate possono liberamente scorrere fuori dal nostro crogiolo e dissolversi nel flusso universale, e, nella direzione opposta, le energie positive possono essere raccolte dal mondo spirituale, libere di discendere nel fondo del nostro vaso interiore.

Questo processo può essere un moderato e delicato fluire oppure, in alternativa, si può scaldare il nostro crogiolo interiore grazie all’azione di potenti correnti di energie emozionali, che, all’occorrenza, forzino le trasformazioni.

Infatti, quando siamo divenuti esperti nell’utilizzo di queste tecniche queste tecniche possiamo evocare rapidamente e con atto consapevole ambedue queste diverse esperienze: il flusso gentile e delicato e la fase fiera ed attiva, la precipitazione o la cristallizzazione, e, in particolari fasi del lavoro, queste diverse esperienze possono essere applicate alternativamente nel creare una polarità all’interno dell’esperienza interiore, cosa che può aiutarci nel portare a buon fine la nostra opera.

Di solito, dunque affrontiamo questi esercizi ponendo alcuni schemi di energia simbolici nel nostro crogiolo interiore, aprendo poi noi stessi alle particolari trasformazioni che possono avvenire a partire da questo esercizio – calcinazione, purificazione, cristallizzazione, dissoluzione etc..

La Storta alchemica, nel suo senso archetipale, è invece un fiasco sigillato.

In questo lavoro interiore noi immaginiamo la nostra anima come interamente isolata da ambedue le realtà, sia quella corporea esterna che quella spirituale.

Quando noi approcciamo questo esercizio, noi abbiamo tutto quel che ci serve all’interno della sfera della nostra storta interiore, e, per tutta la durata di questo lavoro, ci troviamo in una situazione di completa autoreferenzialità e ci affidiamo per la realizzazione del cambiamento interiore alle sole forze che in quel momento abbiamo in noi.

Dobbiamo lavorare per provocare una trasformazione in questi schemi energetici, senza affidarci ad alcuna forza esterna.

E’ molto importante, dunque, se vogliamo intraprendere tali esercizi interiori in modo positivo e con qualche speranza di ottenere risultati soddisfacenti, prepararci e porre nella nostra storta interiore tutte le energie ed i simboli necessari per il processo.

Di conseguenza, lavorare con questo particolare esercizio richiede un certo grado di preparazione.

L’esercizio della storta alchimistica è utile specialmente per lavorare alla sintesi interiore delle polarità.

Noi poniamo gli schemi energetici polarizzati legati a, diciamo, uno specifico insieme di simboli, nella nostra fiaschetta interiore ben sigillata, e lasciamo che agiscano indisturbati, interagendo e giungendo ad una nuova sintesi.

Il simbolo più comune negli scritti alchemici è l’uomo chiuso in una fiasca con una donna, dalla cui unione viene alla luce un bambino.

Di conseguenza diventa chiaro che le forze attivate da questo esercizio sono le nostre componenti maschili e femminili.

Le componenti maschile e femminile

Ponendo questi schemi di energia simbolica nella nostra storta interiore ed evocando la maniera in cui essi si manifestano e risuonano nel nostro essere, noi possiamo ottenere un contatto con queste componenti psichiche, un incontro positivo.

Altre polarità con cui possiamo provare a lavorare sono le nostre capacità logiche e gli aspetti emozionali ed intuitivi, oppure il corpo e lo spirito, o ancora il nostro timore della luce spirituale e la nostra paura della profonda tenebra insita alla materia, oppure possiamo considerare i processi di vita e morte o crescita ed invecchiamento.

Dovremo considerare la storta alchemica come un grembo, una matrice in cui il processo di gestazione della nuova nascita avvenga in noi in maniera sicura, per conquistare il suo posto in noi.

Se lavoreremo con la nostra storta alchemica per un periodo sufficiente di tempo, noi incominceremo a comprendere l’importanza di questo spazio nella nostra anima, e lo considereremo come una zona creativa di lavoro interiore.

I processi alchemici che avvengono in questa storta abitualmente implicano l’incontro delle opposte polarità, come ad esempio Separazione e Congiunzione, o Dissoluzione e Coagulazione.

Talvolta possiamo scoprire che la nostra storta interiore si annerisce e nulla sembra avvenire per un lungo periodo di tempo, ma se allora persevereremo, vedremo avvenire i cambiamenti – probabilmente all’inizio si tratterà di semplici barlumi – che dopo un numero sufficiente di ripetizioni delle nostre esperienze, possono dar luogo al sorgere di alcune nuove esperienze interiori.

In altre fasi la storta potrà essere piena di movimento ed iridescenti giochi di colore, forme mutevoli, ed in questo caso dovremo aspettare prima di poter trovare finalmente un punto d’appoggio solido, su cui la nostra esperienza interiore possa crescere.

Un simbolo o disegno di energia spesso incontrato in questa fase è l’albero o la pianta che fiorisce nello spazio della nostra storta interiore.

Storta

Un altro simbolo è quello dell’uccello che spicca il volo e ricade dal cielo del nostro mondo interiore.

L’ultimo vaso interiore che vorrei prendere in considerazione è l’alambicco.

Quando tentiamo di approcciare il nostro mondo interiore mediante l’uso di questa rappresentazione simbolica, dovremmo avere l’impressione di stare estraendo un’essenza da uno dei processi interiori, purificandola e raccogliendola nel nostro essere in modo che diventi una risorsa interiore reale cui potremo attingere a volontà.

Questa operazione alchemica corrisponde in qualche modo nel nostro quotidiano esteriore al modo in cui una esperienza di comprensione di qualche aspetto del nostro mondo può interamente trasformare la nostra relazione con esso.

Ad esempio la nostra reazione iniziale di fronte ad un nuovo passo della tecnologia, o ad un lavoro non familiare, è una prova carica di incertezze e viziata dalle difficoltà che noi proiettiamo su quella tecnologia o quel lavoro.

Se noi riusciamo a capire il funzionamento del nuovo strumento, o riusciamo a capire come si compiono i movimenti di quel determinato lavoro, allora il nostro modo di usare il congegno o di svolgere il lavoro cambia in modo radicale.

La polarità elettro-chimico-magnetica nel vaso

Un processo simile avviene nella nostra interiorità mediante l’esercizio della distillazione interiore, per quanto si tratti di un piano più sottile.

In questo caso prendiamo una determinata qualità positiva del nostro essere, come la nostra creatività, la nostra sensibilità agli altri, o la nostra capacità di formulare pensieri chiari e profondi, e troviamo alcuni simboli che catturino (o almeno avvolgano) l’essenza di questa qualità.

Poi poniamo questi simboli nel nostro alambicco interiore e nella nostra meditazione permettiamo a questi simboli di interagire.

A un determinato punto del lavoro interiore, dovremmo sentire un’essenza sorgere e separarsi dai simboli specifici e dai sentimenti connessi con la qualità prescelta.

Se incoraggiamo questa manifestazione potremo vivere l’esperienza interiore di elevare quest’essenza e di raccoglierla nella parte superiore della nostra anima.

E’ allora che diviene tintura.

Se scegliamo di lavorare con quest’esercizio sulla nostra creatività, poniamo nel nostro alambicco interiore la nostra idea della sorgente della nostra creatività, rappresentazioni delle nostre passate creazioni o del lavoro che abbiamo in corso, memorie delle correnti emozionali connesse con la nostra esperienza creativa, simboli universali della creatività e così via.

In un esercizio di meditazione di questo tipo, che padroneggeremo solo dopo molte sessioni, evochiamo tutto questo materiale nel nostro alambicco interiore e sorvegliamo il processo ed i mutamenti che vi avvengono.

Ad esempio, a un certo punto potremo fare esperienza dell’inversione di polarità di vari simboli.

Magari all’inizio crediamo che il nostro impulso creativo sia interamente impegnato nella ricerca di una forma ideale e vedremo questa immagine ideale trasformarsi istantaneamente nella sua antitesi, talvolta brutta ed informe, o in un ciclo di metamorfosi che producono schemi disturbanti nel nostro essere.

A un certo punto questa fase si concluderà e troveremo qualche simbolo o percezione emozionale emersi dalla meditazione che cattureranno l’essenza della nostra creatività (o di ciò su cui avremo scelto di lavorare).

Se nutriamo e sosteniamo questa essenza, allora noi le consentiremo di sorgere e svilupparsi nella nostra anima e la sentiremo permanere come una specie di tintura nel nostro mondo interiore.

Soluzione perfetta con la nascita del bambino

Se questa tintura viene fissata nel nostro essere, allora potremo richiamare l’esperienza a nostro piacimento.

A questo punto scopriremo che una parte delle nostre forze interiori trattengono una eco di tutto il lavoro meditativo intrapreso fino a quel momento e possiamo riconnetterci con questo serbatoio interiore ogni volta che vogliamo.

Così, nel caso del lavoro sulla creatività, una volta impadronitici del segreto di questa tintura interiore, se viviamo qualche difficoltà (o un blocco) su delle fasi particolari dei nostri lavori creativi, potremo evocare la tintura interiore di quest’esperienza, che ci aiuterà ad entrare in contatto con le radici della nostra creatività aiutandoci a risolvere le nostre difficoltà.

E’ chiaro che, esercizi di questo tipo non sono mai definitivamente esauriti e compiuti, poiché noi stessi cambiamo continuamente in relazione a ciò che ci accade, ma si scoprirà che il lavoro col nostro alambicco interiore è di inestimabile aiuto nel metterci in contatto con le fonti delle nostre qualità positive. In termini alchemici i processi associati con l’alambicco includono quelli di Distillazione, Esaltazione, Fissazione, Proiezione, Moltiplicazione, quintessenza, etc.

In conclusione, spero che queste poche indicazioni possano aiutarci a comprendere come la filosofia ed il simbolismo degli antichi alchimisti possano essere con efficacia usati ancora oggi come una vitale forza vivente per la trasformazione interiore della nostra anima.

Il “segreto manifesto” dell’alchimia è che noi, come gli alchimisti dell’antichità, dobbiamo sperimentare con il nostro mondo interiore sotto forma di questi vasi alchemici.

Allora la nostra vita interiore sarà tinta e trasformata da una nuova ricchezza spirituale.

Adam McLean

Tratto dalla collana “Quaderni di studi esoterici e filosofici”

Dio si moltiplica attraverso noi.

Da Saint Germain .

Facciamolo e la ragione per cui ti ho portato qui davanti – ci sono molte, molte ragioni-lasciamo che tu proclami la tua sovranità o la reclami – reclamare mi piace, perché eri sovrano fin dall’inizio. Totalmente e semplicemente sovrano.

Lo Spirito, che sei anche tu, questo grande amore disse -lo Spirito disse proprio così – e consideratelo così, il Madre/Padre Dio o il maschile e femminile – lo Spirito disse, “Mi amo talmente tanto che voglio ricrearmi di nuovo e poi di nuovo e di nuovo ancora. Voglio uno specchio dopo l’altro di me stesso, ma ognuno di questi sé sarà sovrano. Io non sarò il genitore dei sé che creo. Non li controllerò perché nell’amore infinito concederò a me stesso, alla mia creazione la mia stessa libertà totale.” E così avvenne. Voi siete Dio che si sta innamorando di sé in ogni momento, ogni giorno. Persino le vostre esperienze negative o che voi etichettate come tali, sono solo un’esperienza. E’ solo un altro modo per realizzare questa cosa che definite amore.

Ecco, siete stati creati sovrani e semplici e poi avete proseguito senza alcuna restrizione, senza regole perché in realtà non c’è alcun bisogno di regole, né di fili cui restare attaccati. Nessun filo che vi attira di nuovo verso casa. Quello è amore.

In un modo interessante allora lo Spirito non lo sapeva, non capiva cos’era l’amore ma percepiva solo questo desiderio, questa passione e quindi disse, “Io continuerò a crearmi senza sosta,” ed eccovi qui. Eccovi qui che state tornando alla sovranità e alla semplicità. State tornando alla magia.

Ci vorrà un po’ di lavoro. Dobbiamo liberarci di molte, molte vite di programmazione e struttura, d’ipnosi inserita in profondità dentro di voi ma ogni volta che ridete, ogni volta che sorridete ne lasciate entrare un po’ di più. Ogni volta che ci riuniamo così – un gruppo di Dei che ogni giorno di più si sta innamorando di sé – ne lasciate entrare un po’ di più.

 

 

L’energia è coscienza

-ATTO DI COSCIENZA-

DA -ADAMUS SAINT-GERMAIN

L’energia è coscienza cristallizzata, compressa. Fu creata da te, per te per poter fare le tue esperienze. Fu geniale sperimentare quel livello di passione – “Io Sono! Io Esisto!” Accadde solo una volta e quell’espressione iniziale creò tutta l’energia che è lo strumento o il veicolo che usasti da allora in poi per creare la tua esperienza.
Fu geniale perché l’anima restò pura. In un certo senso l’energia uscì dalla coscienza per poterla lasciare sempre incontaminata. Nulla distorcerà, degraderà o offuscherà mai la tua anima. Tu puoi fare grandi esperienze, dalla più luminosa tra le luminose alla più buia tra le buie e niente altererà mai la purezza della tua coscienza. Questa profonda verità mi commuove. Provare una tale passione così profonda da creare un’energia che non corromperà mai l’anima–è assolutamente meraviglioso.
La passione della coscienza creò tutta l’energia che tu ancor’oggi usi.
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foto di Nazario Cannella.